Presentazione

Dopo anni in cui ho completamente dimenticato le mie vecchie passioni di quando, bambino, la televisione non era così fondamentale, ho riscoperto la grande pace che si prova ad usare mani e cervello per creare qualcosa, grazie anche a mio figlio Luigi.

In questo spazio, in via sperimentale, voglio condividere la mia passione per i mattoncini LEGO™.

L’idea è di pubblicare modelli, notizie, consigli, tutto quanto appartiene al mondo di questa straordinaria opera dell’ingegno umano, che nonostante abbia passato il mezzo secolo d’età non soffre di alcuna vecchiaia.

Nessuna regolarità nella pubblicazione, né garanzia di continuità. Non deve e non vuole diventare un impegno, ma rimanere sempre e comunque un piacere da condividere.

Grazie. Buona lettura e soprattutto buona costruzione!

Treni LEGO PF a ricarica automatica (1ª parte)

Siamo partiti dal tentare di recuperare i motori guasti dei treni 9V, e siamo finiti con pacchi batterie “custom”, treni convertiti agli elementi Power Functions™, ricarica wireless per le batterie “custom”.

Cosa volere di più? Dipende, di cose da fare ce ne sono, tante le idee da sviluppare. Supponiamo di essere ad una esposizione per appassionati, dove abbiamo il nostro diorama ferroviario, e immaginiamo di avere il nostro bel treno, convertito agli elementi Power Functions, che ogni minuto fa una fermata alla stazione, dove si posiziona automaticamente sopra la bobina di carica Qi-Charger e ricarica la batteria a bordo per qualche decina di secondi, per poi ripartire, ed andare avanti così fino a che la batteria si trovi, nonostante le microricariche periodiche, con la carica troppo bassa, per cui alla fermata successiva rimane sulla bobina di carica per il tempo necessario a ricaricare fino all’80% la batteria, per poi ripartire. Tutto questo senza alcun intervento da parte nostra, il treno cammina e si regola da solo.

Fantascienza? No, è fatto e collaudato, e vi presento il progetto, completo di tutte le istruzioni per farlo funzionare su tutti i diorami ferroviari. Inoltre, cosa non da poco, se abbiamo realizzato il pacco batterie “custom” con la ricarica wireless abbiamo già quasi tutti gli elementi necessari, non serve molto altro. L’unico problema è che a questo punto occorre qualcuno che ne sappia di resistenze, condensatori ed altri componenti elettronici, almeno per quanto riguarda il montaggio e l’uso degli strumenti minimi necessari per la costruzione ed il collaudo: saldatore a stagno per l’elettronica, tester, “bruciare” un programma su un Arduino.

Andiamo a cominciare, dopo le consuete
Avvertenze: niente di quello che viene scritto e detto qui ha una garanzia di funzionamento o di utilità. Le operazioni richiedono esperienza nel campo, mentre i componenti utilizzati hanno limiti e precauzioni d’uso, e vanno maneggiati solo da persone con specifiche competenze. Non mi assumo nessuna responsabilità né sul funzionamento né su eventuali danni a persone o cose che possano derivare da usi impropri o imprudenti di quanto qui descritto. Gli accumulatori al Litio hanno specifiche precauzioni d’uso, riferirsi alle schede tecniche dei rispettivi produttori.

Il progetto

Ho creato due varianti: una con Arduino Nano ed una con Digispark, un micro-microcontroller compatibile con Arduino. Sono entrambe valide, ed hanno le stesse funzioni. L’unica differenza è la dimensione: l’Arduino Nano è circa il doppio del Digispark, e visto che le dimensioni possono essere un problema, ho preferito avere le due versioni. Il primo prototipo è stato fatto con Arduino Nano, poi ho realizzato il secondo con il Digispark: presenteremo gli schemi elettronici per entrambi, le fasi di costruzione saranno praticamente identiche per le due varianti, tranne che nella realizzazione del circuito.

I requisiti di progetto sono:

  • Uso degli elementi Power Functions™
  • Alimentazione a batteria con il pacco “custom” creato in precedenza
  • Il treno deve essere in grado di localizzare autonomamente la bobina di carica Qi-Charger
  • Il treno deve tenere sotto controllo il livello di carica della batteria, e procedere alla carica completa se necessario
  • Le modifiche agli elementi LEGO® devono essere limitate a quelle già fatte per la ricarica wireless ed il pacco batterie “custom”, ossia: la bobina di carica integrata nel binario PF dritto; la bobina ricevente incollata alla piastra 2×4; il cavetto di prolunga PF tagliato per portare alimentazione al ricevitore del telecomando LEGO
  • Il treno deve rimanere controllabile con il telecomando a infrarossi standard LEGO
  • Limitare i costi

La soluzione proposta sfrutta il fatto che qualcuno ha utilizzato le specifiche del protocollo dei telecomandi LEGO (pubblicate da LEGO stessa, e reperibili ad esempio sul sito di Philippe “Philo” Hurbain) per rendere la libreria IRremote per Arduino capace di emulare i telecomandi LEGO, quindi useremo il protocollo del telecomando dei treni per comandare il nostro, senza modificare nulla nel telecomando, nel ricevitore o nel motore.

L’ostacolo maggiore è l’individuazione e l’allineamento alla bobina di carica Qi-Charger: non c’è altro modo per capire se le bobine sono allineate che controllare se dalla bobina ricevente escono i 5V. O almeno non c’è un modo semplice. Inoltre, cosa non da sottovalutare, ci possono volere fino a tre secondi dal momento in cui le bobine sono allineate al momento in cui arrivano i 5V in uscita dalla bobina ricevente. Abbiamo quindi bisogno prima di un sistema che ci avverta quando siamo nelle vicinanze della bobina di carica e di un modo per allineare le due bobine lentamente fino ad avere i 5V in uscita.

Dopo aver escluso un sensore di prossimità come quello utilizzato nell’automazione di base, avrebbe imposto troppe limitazioni alla configurazione del circuito ferroviario, tentato con un sensore di colori TCS3200, troppo sensibile alle variazioni delle condizioni di illuminazione, nonostante i LED integrati, e troppo ingombrante da piazzare sotto il locomotore, alla fine ho tentato con un sensore magnetico ad effetto Hall, e si è rivelata la soluzione migliore, a patto di usare magnetini al Neodimio di dimensione ridotta, anche se piuttosto potenti.

Per l’occasione ho fatto qualche altro test sulle batterie al Litio per individuare il metodo migliore per capire la carica rimanente, e ne è scaturito un altro grafico. La soluzione è misurare la tensione della batteria senza carico, o con un carico ridotto, cosa che si può fare agevolmente nel momento in cui il treno si ferma per cercare la bobina di ricarica.

Li-ion e Li-po a confronto

La differenza principale fra gli accumulatori cilindrici (tipo 18650, detti Li-ion) e quelli piatti (tipici dei droni, detti Li-po) è che in questi ultimi la tensione a vuoto rimane sempre sopra i 3,6V per calare bruscamente ad accumulatore scarico, mentre gli accumulatori 18650 anche dopo che la tensione scende sotto i 3,4V possiedono ancora parecchi minuti di autonomia, quindi non è possibile basarsi sulla tensione a vuoto per definire la carica rimanente.

Di contro, misurare la tensione sotto carico può essere poco indicativo perché il valore letto dipende da molti fattori differenti, fra cui il carico, la resistenza interna, la capacità totale. Fra l’altro, dato che i treni LEGO usano il metodo PWM per modulare la tensione di alimentazione del motore e definire la velocità di rotazione, i valori letti hanno delle vistose fluttuazioni, come si vede dal grafico sotto, per via del modo in cui è erogata la corrente, ossia ad impulsi.

Il comportamento sotto carico (blu) a confronto con i valori letti a vuoto (rosso)

Questo succede perché le letture dei valori possono capitare casualmente nel momento in cui il motore riceve un impulso o nell’intervallo fra due impulsi, ed i due valori differiscono abbastanza. Anche facendo la media di più letture, i valori risultano abbastanza instabili. A vuoto, invece, le letture sono abbastanza affidabili e stabili.

Quindi rimane il problema di come determinare il livello di carica, cosa per nulla facile. Come sempre, la strategia migliore è andare a vedere le specifiche delle batterie e la documentazione di chi conosce molto bene gli accumulatori al litio. Da qui scaturisce che in teoria un accumulatore al litio ha vita lunghissima se si mantiene la carica fra il 65% ed il 75%: in questa situazione la capacità dell’accumulatore non diminuisce di molto anche dopo 8000 ricariche, rimanendo al di sopra del 90%.

Dai grafici sopra appare evidente che almeno su accumulatori “nuovi” ci sia una certa coincidenza dei valori di tensione letti a vuoto fra Li-Ion e Li-po, per cui sfrutteremo questa caratteristica per mantenere le batterie dentro limiti di carica e scarica adeguati a garantirne la massima vita utile.

Lo schema elettronico

Ci sono due schemi, uno per l’Arduino Nano ed uno per il Digispark. Per comodità, guarderemo lo schema con il microcontroller Digispark, ma al netto dei differenti piedini del controller usati, lo schema è assolutamente identico.

Il microcontroller Digispark
Un Arduino Nano

Partendo dalla sezione in basso a sinistra abbiamo il blocco di alimentazione con la batteria al Litio, il modulo di carica TP4056, il modulo elevatore di tensione MT3608 e il connettore per la bobina ricevente Qi-Charger. Praticamente questo blocco è identico a quello realizzato con la carica wireless. Vi sono aggiunti una resistenza (R3) da 10kΩ ed un condensatore di filtro (C3), che portano la tensione della batteria (Vbat) fino al piedino P2 del microcontroller, un ingresso di lettura analogico, per poter leggere lo stato della batteria.

Una seconda resistenza (R1) da 1kΩ porta la tensione di carica (Vcharge) al piedino P4 del microcontroller. Dato che su questo collegamento la tensione può avere solo due valori, 0V quando le bobine di carica non sono allineate e 5V quando lo sono, è sufficiente una lettura digitale: verrà letto “1” logico quando è presente la tensione di carica, ossia quando le bobine di carica sono allineate.

Il sensore ad effetto Hall

L’uscita del modulo MT3608 alimenta il microcontroller, che ha a bordo un regolatore a 5V e fornisce alimentazione per i due componenti aggiuntivi: il sensore Hall A3144 e il LED multicolore programmabile WS2812B (di cui parleremo fra poco). Il sensore ad effetto di Hall quando rileva un campo magnetico cortocircuita verso massa l’uscita, per cui la colleghiamo al piedino P3 del microcontroller. Il piedino P3 sarà configurato internamente al microcontroller per avere una resistenza collegata al positivo di alimentazione, quindi sarà tenuto a livello logico “1”, e commuterà a “0” quando rileverà un campo magnetico.

Il piedino P1 del microcontroller (il 3 nell’Arduino) è collegato ad un LED infrarosso, che sarà utilizzato per impartire i comandi al ricevitore Power Functions. Il valore della resistenza R2 è di 390Ω, piuttosto alto, perché non serve grande potenza: il LED sarà praticamente attaccato alla cupoletta del ricevitore Power Functions. Anzi, se fosse troppo potente l’emissione del LED potrebbe interferire con altri treni nel diorama.

Una coppia di LED NeoPixel™ di tipo SMD

Il LED WS2812B è un NeoPixel™, programmabile usando un solo filo. Può definire un qualsiasi colore usando 24 bit, 8 per ogni colore. Lo useremo come indicatore visivo, un colore per ogni stato del microcontroller. E’ opzionale, e può essere omesso senza alcun impatto sulla funzionalità del circuito nel suo complesso. Se lo omettiamo possiamo anche togliere R4 e C4, necessari per evitare l’arrivo di disturbi sull’ingresso di comando del LED e dall’alimentazione a 5V.

Questo a grandi linee il funzionamento del circuito. Quello con l’Arduino Nano è assolutamente identico, a parte la dimensione fisica e la presenza di altri piedini, che però non utilizzeremo.

Il protocollo del telecomando

Spendiamo qualche parola per il protocollo del ricevitore ad infrarossi Power Functions, servirà a capire alcune parti del programma. Il ricevitore è pensato per funzionare con sostanzialmente due modalità:

  • quella del telecomando #58122 tipico dei set Technic, con le due levette a tre posizioni: centro (posizione di riposo), avanti e indietro. In questo caso il trasmettitore deve inviare continuamente impulsi al ricevitore, che tiene attivo il motore corrispondente fino a quando non lasciamo la levetta, che ritorna in posizione di riposo. Questa modalità ha in tutto tre velocità dei motori collegati al ricevitore: tutto avanti, fermo, tutto indietro.
  • quella del telecomando #64277 tipico dei treni, con i due commutatori rotativi e i due pulsanti di arresto. Il trasmettitore invia soltanto il comando in caso di variazione dei controlli, ed il ricevitore mantiene lo stato fino a quando non arriva un differente comando. Questa modalità ha un controllo più esteso dei motori, permettendo sette differenti velocità in avanti, sette all’indietro e lo stop, oltre alla “frenata”, una modalità in cui il motore viene alimentato in modo da esercitare una azione frenante, a differenza di quando semplicemente si toglie la corrente ed il treno si ferma per inerzia. In realtà le velocità utilizzabili sono meno, dalla 2 alla 7, con la 1 il motore pare riceva troppa poca energia per mettersi in moto.

Utilizzeremo quindi la seconda modalità, specifica per i treni.

Il funzionamento del treno

Per poter funzionare, il treno richiede che il circuito ferroviario sia configurato in un certo modo:

  • Circuito chiuso, non importa quanto complesso o lungo, basta che sia chiuso
  • In un punto dove il circuito è rettilineo va posizionata la bobina di ricarica, ad esempio di fronte ad una stazione, utilizzando uno dei metodi proposti in precedenza.
  • Poco prima della posizione della bobina, tipicamente a due segmenti di binario dritto di distanza secondo il senso di marcia del treno, va piazzato un magnetino ad indicare la prossimità della bobina stessa

Il comportamento del treno è ciclico:

  • Supponendo di avere la batteria carica all’avvio, il treno marcia normalmente per un tempo prefissato alla velocità di crociera.
  • Trascorso quel tempo, il treno si mette alla ricerca della posizione del magnetino, riducendo leggermente la velocità per non mancarlo.
  • Trovato il magnetino, riduce ulteriormente la velocità fin quasi a fermarsi e cerca la bobina di ricarica, che dovrebbe essere poco distante
  • Trovata la bobina di ricarica, si ferma per un tempo prefissato, se la batteria non è scarica.
  • Se invece la batteria è scarica, si ferma sulla bobina di ricarica fino alla carica completa
  • Terminato il tempo di ricarica, il treno si riavvia gradualmente e ritorna alla velocità di crociera.

I tempi e le velocità sono definiti con delle costanti nella parte iniziale del programma, e possono essere modificati a piacere.

Il software

Il programma è, semplificando al massimo, una macchina a stati molto semplice.

In testa al programma c’è una sezione di configurazione che deve essere modificata per adattarla alle nostre esigenze. I valori che ho inserito sono tali da andare perfettamente in molte situazioni, per esempio utilizzando i treni originali LEGO. Se però vogliamo motorizzare un nostro treno, o il circuito è particolare, è necessario metterci le mani e adattare i valori alle nostre esigenze. Vediamo ora il funzionamento del programma, e sicuramente dopo il significato delle costanti sarà meno oscuro.

All’accensione il sistema rimane per quindici secondi nello stato STARTUP, in cui rimane fermo (ci consente di aggiustare le cose prima di partire a razzo). In questa fase se il sensore magnetico rileva il magnete il LED di segnalazione si accende con luce bianca. Questo è utile per capire se il magnete è posizionato correttamente e viene rilevato dal treno.

Allo scadere del tempo, viene controllato se si trova ancora sopra il magnete, ed in questo caso passa allo stato MANUAL, ossia il microcontroller si disattiva ed il treno è utilizzabile come un normale treno Power Functions. Se non rileva il magnete, fa un controllo sulla presenza della tensione di carica, ossia se il treno si trovi allineato con la bobina Qi-Charger, in quel caso procede alla carica completa della batteria (vedi sotto lo stato FULL_CHARGE). Questo è utile quando il treno dovesse trovarsi con la batteria scarica e lo vogliamo forzare a caricarla del tutto prima di partire.

Se invece non rileva la presenza della tensione di carica, controlla il livello di carica della batteria, e nel caso sia sufficiente, passa allo stato di marcia normale (RUN) e si avvia accelerando gradualmente. Se invece la carica della batteria è troppo bassa, rimane fermo e passa allo stato di ALARM.

Passiamo ad elencare gli stati di funzionamento:

  • STARTUP – è il tempo di attesa iniziale definito con la costante TR_STARTUP in secondi, in cui il treno rimane immobile in attesa. Se al termine di questo tempo rileva di essere sopra il magnete, passa allo stato MANUAL, se invece rileva di essere sopra la bobina di ricarica passa allo stato CHARGE_FULL, altrimenti passa allo stato RUN se la batteria non è scarica. Se la batteria è scarica passa allo stato ALARM.
  • RUN – è la marcia normale del treno alla velocità TR_FULLSP, ossia la velocità di crociera massima. Consiglio di usare i valori 6 o 7 (7 è il massimo). Non viene letto alcun sensore, la durata della marcia dipende solo dal valore impostato nella costante TR_RUNTIME in secondi. In questo stato il LED di stato è verde brillante.
  • SEARCH – Trascorso il tempo TR_RUNTIME, il treno passa alla ricerca del magnetino, leggendo il sensore ad effetto Hall. La velocità passa a TR_SRCSP (consiglio 4 o 5) ed il LED diventa blu. Se non trova il magnetino, dopo un intervallo di tempo pari al doppio della marcia normale (TR_RUNTIME) passa allo stato di ALARM e si ferma.
  • LOCATE – Trovato il magnetino, il treno passa alla ricerca della bobina di carica. Avanza a piccoli scatti alla velocità TR_SLOWSP (consiglio 2 o 3) controllando la presenza della tensione di carica. Il LED è celeste. Se trascorre il tempo TR_PADSRC senza trovare la bobina torna allo stato SEARCH. Se per tre volte esegue il ciclo SEARCH/LOCATE senza trovare la bobina di carica, torna allo stato RUN se la batteria non è scarica, altrimenti passa ad ALARM e si ferma.
  • CHARGE – Trovata la bobina di carica, il treno rimane fermo per il tempo minimo definito da TR_CHARGE, con il LED di colore viola. Il tempo viene aumentato o diminuito in funzione della tensione della batteria a vuoto: se tende a scendere, il tempo di ricarica viene aumentato, se invece supera una certa soglia viene diminuito, proprio per mantenere la batteria entro i limiti di capacità di cui parlavamo sopra. Terminata la carica, torna allo stato RUN ed alla velocità di crociera. Se invece la batteria è scarica passa allo stato CHARGE_FULL
  • CHARGE_FULL – quando la batteria è scarica, il treno si ferma per la ricarica completa, il LED passa al colore arancio. Rimane in questo stato fino a che la tensione della batteria non supera i 4,1V circa. Poi passa allo stato CHARGE_FULL2
  • CHARGE_FULL2 – Per assecondare il profilo di carica delle celle al litio, terminata la prima parte della carica, in cui la tensione cresce fino ad un certo valore, si passa alla seconda fase, in cui la tensione è pressoché costante. Il LED è giallo. Non avendo modo di misurare lo stato della carica direttamente, il treno rimane in questo stato per un tempo fisso e predeterminato definito da TIME_FULLCHARGE. Se dovesse succedere di esagerare con il tempo, non succede niente, semplicemente perché il circuito TP4056 ferma la carica quando la batteria è piena, quindi non c’è pericolo di rovinare nulla.
  • MANUAL – In questo stato il treno diventa a tutti gli effetti un treno Power Functions: il microcontroller rimane inerte e non cambia più il proprio stato, e possiamo manovrare il treno con il telecomando. Per riportarlo in modalità automatica occorre resettare il microcontroller: nel caso dell’Arduino Nano, c’è il pulsantino di Reset per questo, mentre nel Digispark occorre togliere alimentazione. In questo stato il LED è verde, meno luminoso dello stato RUN.
  • ALARM – Se per qualche motivo il treno rileva che la batteria ha bisogno di essere caricata e non riesce a trovare il magnetino o la bobina di ricarica, per non rovinare la batteria scaricandola troppo passa a questa modalità, fermandosi e segnalando con il LED rosso la situazione di blocco. Il treno è manovrabile con il telecomando Power Functions, e possiamo portarlo sopra la bobina di ricarica: in questo caso il microcontroller passa allo stato CHARGE_FULL.

La configurazione

Vediamo i parametri di funzionamento del software e il loro significato.

  • MOTOR – Può essere RED o BLUE, tutto maiuscolo. Definisce il canale usato nel ricevitore infrarosso Power Functions per il controllo del motore del treno. Predefinito è BLUE.
  • IRCHANNEL – Definisce il canale del ricevitore Power Functions. Può essere 0, 1, 2 o 3, e corrispondono rispettivamente ai canali 1, 2, 3 e 4. Insieme al valore MOTOR sopra permette di differenziare il treno controllato, specialmente per evitare interferenze con i treni vicini. Se abbiamo più di un treno controllato automaticamente è consigliabile usare un canale differente per ogni treno. Predefinito è 0
  • TR_RUNTIME – E’ il tempo in secondi per cui il treno rimane nello stato RUN. Se ad esempio abbiamo un circuito molto corto e vogliamo che il treno si fermi ad ogni giro alla stazione abbasseremo questo valore al di sotto del tempo in cui il treno compie un giro. Predefinito è 50 secondi.
  • TR_CHARGE – E’ il tempo minimo di sosta per ricarica sulla bobina Qi-Charger. Il valore corretto è dipendente da quante energia viene consumata dal treno durante il TR_RUNTIME. Se il treno è molto pesante, servirà un tempo di permanenza più lungo. Il software ha un sistema di autoregolazione per cui aumenta o diminuisce il tempo di ricarica in funzione del consumo, portandolo fino al triplo. Se vediamo che il treno aumenta il tempo di fermata, vuol dire che il consumo è elevato, quindi il treno pesa troppo, o che la batteria al Litio si sta invecchiando. Predefinito è 30 secondi. I valori scelti qui sono tali che il treno merci #60052 con una batteria Li-po da 1200mAh gira per ore senza cambiare il tempo di ricarica.
  • TR_FULLSP – E’ la velocità di crociera del treno. Può valere da 2 (minimo) a 7 (piena velocità). Predefinita è 6.
  • TR_SRCSP – E’ la velocità assunta dal treno quando è in ricerca del magnete che indica la prossimità della bobina di ricarica. I valori vanno sempre da 2 a 7. Consigliati 4 o 5, predefinito è 5. Nei test da me fatti, il treno rileva il magnete anche alla massima velocità, per precauzione ho preferito abbassare leggermente la velocità del treno. Anche qui molto dipende dal treno e dal suo peso.
  • TR_SLOWSP – E’ la velocità assunta dal treno quando fa i piccoli aggiustamenti per allinearsi con la bobina di ricarica. Dato che procede a “impulsi”, se il treno ha un certo peso, potrebbe essere necessario aumentare questo valore. Predefinita è 2 (la minima). Anche qui è calibrata per il treno merci, ed a ogni “impulso” il treno avanza di poco meno di un centimetro.
  • TR_STARTUP – E’ il tempo che passa da quando il treno è alimentato a quando inizia il ciclo marcia/ricarica, in secondi. In questo tempo iniziale è possibile effettuare una ricarica completa o didattivare del tutto l’automatismo, come spiegato sopra nella descrizione del funzionamento. Predefinito a 15 secondi.
  • TIME_FULLCHARGE – Come spiegato sopra, questo è il tempo in cui viene effettuata la ricarica completa a tensione costante. Il tempo predefinito equivale a 30 minuti. Considerando che la corrente di ricarica è di 1A massimo, possiamo fare un calcolo approssimato dicendo che ogni ora equivalgono a 1000mAh di capacità, se l’accumulatore è da 2000mAh in 60 minuti la carichiamo a circa metà capacità. Usando un accumulatore da 1200mAh in 30′ arriviamo anche qui a circa metà capacità. Più semplicemente basta aggiungere 30′ ogni 1000mAh di capacità della batteria, per mantenere l’accumulatore nella fascia 50-80% al fine di massimizzare la vita utile.
  • TR_PADSRC – E’ il tempo in secondi per cui il treno cerca l’allineamento con la bobina di carica. Se entro questo tempo non la trova, come spiegato sopra,, torna allo stato di SEARCH. Predefinito è 15 secondi.

Questi sono i parametri configurabili ed il loro significato.

Ci sono anche altri parametri, ma sono calibrati per il circuito così com’è ora e per le librerie software impiegate. Se si intende cambiarli occorre sapere dove e come mettere le mani, pena il non funzionamento, o peggio il guasto.

Nella prossima parte vedremo i prototipi e le soluzioni costruttive adottate.
(Fine della prima parte)

Troppi mattoncini? Mettiamo ordine!

Più di un amico mi ha chiesto consigli su come sistemare i propri mattoncini, sapendo della mia passione (è impossibile ignorarlo se sei mio amico, ogni occasione è buona per uno sproloquio su quanto belli siano, su quanto siano geniali, su come sviluppino le abilità nei bambini, su come sia rilassante per gli adulti, ecc. ecc.).

Premesso che i mattoncini non sono mai troppi, vediamo di inquadrare il problema e di proporre qualche strategia, andando a guardare anche come sistemano i propri gli appassionati.

Come? Dipende…

Tante sono le variabili e tante le situazioni, per cui vedremo di restringere il campo a quelle più generiche, anche perché un collezionista sa già come fare. Per comodità, possiamo definire qualcosa in merito a:

  • Quantità di mattoncini – pochi o tanti, sfusi o divisi in set.
  • Tipo di gioco – “pesca dal mucchio”, “per me solo set”, “prima il progetto”

Lo scopo della sistemazione, in ogni caso, è molteplice:

  • Far durare di più i mattoncini
  • Razionalizzare lo spazio
  • Avere sottomano tutto il necessario per costruire

La precedenza ai bambini

Non lo ripeterò mai abbastanza: i bambini devono poter giocare senza limitazioni e senza imposizioni. Quindi lasciamo che i mattoncini vengano consumati fino a diventare smussati negli spigoli, fino a perdere il colore.

Per chi li deve rifornire di materiale da costruzione, i pargoli, l’interesse è di non vedere dilapidata la piccola fortuna spesa in pezzetti di ABS colorato in tempi troppo brevi: conciliare questi due aspetti è apparentemente impossibile.

Quello che rovina i mattoncini è soprattutto la sporcizia che vi si raccoglie durante il gioco e lo sfregamento a cui sono sottoposti durante la ricerca del pezzo necessario, rimestando nel “bidone”. Dopo aver visto le precauzioni per far durare di più i mattoncini, possiamo dividere i mattoncini in categorie, dedicandogli contenitori differenti. Una strategia può essere separare i set dai mattoncini sfusi, e suddividere i mattoncini sfusi in contenitori differenti:

  • Set – possiamo tenerli divisi in buste con la zip, una per ogni set, etichettando ogni busta col nome e numero del set. Devono essere smontati, anche parzialmente, per fargli prendere meno spazio, controllando eventualmente che ci siano tutti i pezzi. Se il set è molto grande, possiamo usare più buste, numerandole “1 di 3”, “2 di 3” e via così. Se il set è molto grande e le istruzioni sono divise per buste numerate, si può usare il metodo della “costruzione al contrario”, seguendo le istruzioni nel libretto dal fondo si smonta gradualmente il set, usando delle buste con zip più piccole da numerare e inserire nella busta più grande. Occorre naturalmente un po’ di pazienza e di lavoro in più, il vantaggio è che alla fine abbiamo controllato che tutti i pezzi siano presenti.
  • Libretti delle istruzioni – I primi a deteriorarsi. Possiamo metterli in buste forate, ed archiviarli nei raccoglitori ad anelli A4. Se abbiamo a disposizione un tablet o un vecchio PC portatile, potente quanto basta per leggere i file PDF, andremo a scaricare le istruzioni in formato digitale e faremo usare quelle ai pargoli, salvando i libretti.
  • Pezzi sfusi generici – tutti i pezzi facilmente individuabili, anche perché presenti in buona quantità, senza rovistare a lungo nel “bidone”
  • Pezzi sfusi piccoli – pezzi che di solito finiscono in fondo al “bidone”, o incastrati dentro altri pezzi più grandi, o di cui abbiamo pochi esemplari
  • Minifig – non solo le parti del corpo, gambe, teste, ma anche gli accessori: cappelli, armi, attrezzi, cibo, stoviglie, pentolame, scudi, animaletti, ecc.

Se la quantità lo richiede e abbiamo spazio, possiamo aumentare il numero di contenitori e suddividere ancora:

  • Pezzi “speciali” – pezzi che hanno forme o usi particolari, e che abbiamo in piccole quantità o addirittura in esemplare unico: cerniere, ingranaggi, porte, parafanghi, ecc.
  • Pezzi trasparenti – i più delicati e i primi a rovinarsi. Metterli in una scatola separata li preserva più a lungo, soprattutto i parabrezza, i vetri di porte e finestre, i tettucci degli aerei e della astronavi.
  • Pezzi unici – parti molto grandi o usate solo in un set, tipo il muso di un elicottero, il corpo di un dinosauro, le ali di un drago, la pala di una scavatrice, e via così.

Quando una scatola diventa troppo piena, basta dividere il contenuto in due o più scatole secondo il nostro gusto.

Il gioco con i pezzi sfusi può essere organizzato mettendo un tappeto (un vecchio lenzuolo, una coperta) in terra, svuotarci il “bidone” con i pezzi sfusi generici e mettere intorno le scatole con gli altri pezzi in modo da renderli immediatamente disponibili ai costruttori. Al termine del gioco, possiamo anche educare i piccoli a rimettere a posto le cose ordinandole secondo la suddivisione scelta.

Il gioco con i set va organizzato in modo leggermente differente, fornendo al costruttore un buon numero di scatole e scatoline di varie dimensioni in cui dovrà suddividere i pezzi presi dalla busta del set secondo colore, dimensione, tipo, a piacere suo. Tutto questo per rendere il lavoro di costruzione organizzato e meno frustrante: cercare per diversi minuti un pezzetto perso in mezzo a un paio di centinaia di mattoncini colorati può essere un’impresa che alla fine scoraggia chiunque (anche se conosco qualche appassionato per cui la ricerca del pezzo è parte integrante del divertimento).

Questi consigli sono anche per chi ha collezioni ridotte di set o di pezzi sfusi: basta adattarli alle proprie esigenze ed alla dimensione della propria collezione.

Il collezionista

Una buona fetta di appassionati LEGO® fa parte della categoria dei collezionisti, per cui ogni singolo set, ogni libretto, ogni scatola è preziosa. Come per altri tipi di collezioni, spesso acquista due esemplari di un set, uno per costruirlo ed esporlo, uno per conservarlo intatto, senza aprire la scatola.

Senza esagerare, supponendo di avere una propria collezione di set, possiamo operare in parte come detto sopra:

  • Conservare i set smontati in buste con zip etichettate
  • Tenere i set esposti lontano dalla luce solare, possibilmente dentro mobili chiusi al riparo dalla polvere. Un noto produttore ha una linea di librerie le cui misure sembrano fatte apposta per accogliere i set da collezione.
  • Mettere i libretti delle istruzioni in buste forate archiviate nei raccoglitori
  • Si possono conservare anche le scatole, basta avere l’accortezza di aprirle usando un asciugacapelli per ammorbidire la colla a caldo con cui sono chiuse e smontarle per appiattirle, eventualmente tagliando i soli sigilli fatti con il nastro adesivo, senza rovinare la scatola.
  • Se si collezionano Minifig, usare delle teche o degli espositori per tenerle fuori polvere, e mettere quelle non esposte in piccole buste con zip, conservate in scatole più grandi

Quando vorremo costruire qualcosa dei nostri set, sfoglieremo i raccoglitori per scegliere il set, poi prenderemo il libretto delle istruzioni e le buste del relativo set, che avremo messo in scatole suddivisi per numerazione o per tema.

Il Mastro Costruttore

Indipendentemente dall’età anagrafica, il Mastro Costruttore spende buona parte del suo tempo ad organizzare la sua collezione di mattoncini, unicamente allo scopo di facilitare la costruzione delle sue opere originali.

Può lavorare abitualmente con un software di progettazione, come LDD o uno dei programmi della libreria LDraw, per poi generare un elenco di pezzi da prelevare dal suo archivio, oppure costruire “a braccio”, senza un progetto preciso, solo avendo in mente il risultato finale. Più spesso è un misto di questi due estremi: si parte con una bozza di progetto che poi viene affinata durante la costruzione, cambiando particolari o aggiungendo idee e dettagli strada facendo.

In ogni caso è importante che abbia sotto controllo la propria collezione e che non solo sappia trovare ogni elemento in breve tempo, ma sappia di averlo. Per questo l’organizzazione dei mattoncini prende tanta parte del suo tempo, e per lo stesso motivo fa incetta di scatole di tutte le misure, cassettiere da ferramenta, portaminuterie, buste con zip, visitando assiduamente i reparti “Sistemazione” dei centri commerciali.

Le regole per sistemare e catalogare i propri mattoncini sono molto personali e variano da un Mastro Costruttore all’altro, possiamo però elencare qualche linea guida:

  • Catalogazione per categoria “Bricklink” – è il sistema di catalogazione più utilizzato ed è considerato una sorta di standard dagli appassionati. Ad esempio, metteremo le ruote tutte insieme, ma daremo una categoria a parte alle ruote con il foro a “X” tipico degli elementi Technic™. Metteremo le cerniere nello stesso contenitore, ma daremo un altro contenitore alle cerniere “a scatto” (quelle che si bloccano ad intervalli prestabiliti con un dentino di arresto, “locking” su Bricklink)
  • Catalogazione per tipo di elemento (o per “design ID”) – qui ogni pezzo ha uno scomparto, un cassettino o una scatola dedicata. Per esempio i mattoncini 2×4, 2×3, 2×2, 1×2, 1×1, ognuno nella sua scatola, indipendentemente dal colore.
  • Catalogazione per colore – utilizzata specialmente con i colori “rari”, colori in cui sono realizzati pochi pezzi differenti, o comunque difficili da trovare nel caso della divisione per tipo o per categoria. Oppure quando abbiamo grandi quantità di pezzi in un determinato colore, ma con pochi tipi differenti di mattoncini della stessa categoria: per esempio tanti mattoncini bianchi 1×4, 1×6, 1×8.

Nella realtà l’organizzazione è una combinazione dei tre metodi, in funzione delle quantità e del nostro modo di costruire. La mia collezione ad esempio vede una scatola con tutti i mattoncini 2×4 in uno scomparto, e tutti i 2×3 e 2×2 nell’altro. A parte ho una scatola con tutti i mattoncini 2×4, 2×6, 2×3, 1×4, 1×6, 2×2, di colore grigio chiaro. In una scatola a scomparti per ferramenta tengo le plate (piastre) 1×1, le tile (mattonelle) 1×1, i “cheese slope” in scomparti separati con i colori mischiati, mentre in una scatola ho dei sacchettini con zip dove tengo tile 1×1 rosse trasparenti, plate 1×1 chiare trasparenti, “cheese” verde oliva e marrone scuro, dato che ne ho un centinaio di ognuna.

Man mano che la nostra collezione aumenta, possiamo operare suddividendo ulteriormente per tipo o per colore i contenitori troppo pieni: se abbiamo troppe ruote, le dividiamo un piccole e grandi, oppure in Technic e no; se abbiamo troppe tegole, le possiamo dividere per colore (nere e rosse), oppure per pendenza (quelle a 45° e quelle a 33°). Andando avanti così non avremo mai scatole troppo piene o disordinate, ma sarà sempre tutto in ordine. Semmai il problema sarà per la nostra memoria, dover ricordare dove sono i pezzi, o dove li abbiamo spostati dopo l’ultima riorganizzazione.

Il rischio in questi casi è di perdere il controllo della propria collezione, e alla fine non sapere più cosa abbiamo. Esistono dei software che permettono di tenere traccia dei propri mattoncini, ma occorre lavorarci sopra e tenere l’inventario aggiornato, cosa che diventa laboriosa se costruiamo cose da esporre: si deve tenere conto dei pezzi utilizzati, per evitare di trovarsi senza materiale, o peggio di comprare qualche centinaio di pezzi per poi scoprire che li avevamo già.

La soluzione ideale sarebbe un angolino dove tenere il tutto organizzato e catalogato, sempre sotto gli occhi, ma sono in pochi ad avere questa fortuna.

Il costruttore occasionale

Non dimentichiamoci di quella che è probabilmente la categoria più estesa, cioè quelli che costruiscono per rilassarsi, oppure per passare il tempo, o semplicemente perché gli piace. In questo caso il “bidone” è la soluzione migliore: si rovescia su un tavolo (meglio se sotto c’è una tovaglia in tinta pastello), tutti i pezzi in bella vista pronti per costruire. Niente preoccupazioni di rovinare i mattoncini, o di perderne qualcuno. Si gioca e basta.

De gustibus

In definitiva, non c’è un metodo valido per tutti e, fondamentalmente, ognuno ha un metodo personale affinato col tempo e con l’esperienza. Naturalmente, gli appassionati sono sempre a disposizione per suggerimenti e consigli.

Ci creeremo il nostro sistema di archiviazione con il tempo, in base allo spazio di cui disponiamo, ai nostri gusti ed al nostro metodo di costruzione.

Treni LEGO® e batterie al litio: ricarica wireless

(N.B.: modificata la parte sulla bobina trasmettitore dopo la pubblicazione)

Dopo aver realizzato il nostro pacco batterie al litio in versione minima, un altro appassionato è andato oltre, aggiungendo il circuito di ricarica, basato sul modulo TP4056, e un contenitore stampato in 3D.

E allora io rilancio: aggiungo un caricabatteria wireless.

Prima però, le consuete
Avvertenze: niente di quello che viene scritto e detto qui ha una garanzia di funzionamento o di utilità. Le operazioni richiedono esperienza nel campo, mentre i componenti utilizzati hanno limiti e precauzioni d’uso, e vanno maneggiati solo da persone con specifiche competenze. Non mi assumo nessuna responsabilità né sul funzionamento né su eventuali danni a persone o cose che possano derivare da usi impropri o imprudenti di quanto qui descritto. Gli accumulatori al Litio hanno specifiche precauzioni d’uso, riferirsi alle schede tecniche dei rispettivi produttori.

Chi carica?

Esiste una tecnologia utilizzata nei telefoni cellulari in grado di trasferire piccole potenze a breve distanza senza utilizzare alcun contatto elettrico, chiamata Qi-Charging (da qui il pietoso gioco di parole nel titolo).

A destra il trasmettitore, a sinistra la bobina ricevente Qi-charger

Funziona per mezzo di circuiti risonanti, ossia un circuito composto da una bobina ed un condensatore: se si mettono vicini due circuiti con la stessa frequenza di risonanza e se ne alimenta uno con corrente alla frequenza di risonanza, l’altro entrerà in risonanza, appunto, trasferendo una buona fetta della corrente attraverso lo spazio fra le due bobine. Il trasferimento di energia è tanto più efficiente quanto più sono identici i due circuiti e la frequenza della corrente corrisponde alla frequenza di risonanza. Un po’ lo stesso principio per cui se si mettono vicine due chitarre, se sono perfettamente accordate, pizzicando una corda su una, la stessa corda sull’altra inizia a vibrare.

Razzolando su Amazon, ho trovato diversi esempi di sistemi a basso costo per adattare un qualsiasi telefonino per essere caricato con questa tecnologia, ed i prezzi sono relativamente economici:

  • L’unità trasmettitore – a partire da 7 euro, fino a meno di 10 euro, ne esistono di vari tipi, tutti adatti. Non spenderemo di più, non ne vale la pena. Ho provato questo tipo e questo. Non è compreso l’alimentatore, ma è sufficiente un qualsiasi caricabatterie USB da 2A a 5V. Attenzione che l’alimentatore deve erogare 2A, non 1A.
  • L’unità ricevente – I prezzi sono più o meno gli stessi dell’unità trasmittente. Personalmente ho provato questo e questo.

Per quello che ho potuto vedere sono equivalenti, e non vale la pena spenderci di più. Fra l’altro i circuiti sono praticamente tutti uguali, al netto di pochi dettagli. Privilegeremo il ricevitore più piccolo possibile, anche se la dimensione esterna, come vedremo, non è molto indicativa, dato che le dimensioni interne sono standardizzate.

Il trasmettitore ha due differenti versioni: quello a singola bobina e quello a più bobine. Quello multi-bobina dovrebbe permettere un allineamento meno critico, ma per quello che ho potuto vedere (ne ho comprato uno per provare, questo) non è molto più efficiente di quello a singola bobina, e, come vedremo fra poco, potrebbe essere molto più complicato da sistemare.

Come utilizzarlo

Ho realizzato un prototipo che ho usato per i primi esperimenti, e ne ho realizzato un altro per una versione ancora più sofisticata di cui parleremo appena terminati i collaudi in corso (non voglio dire di più, è una sorpresa).

L’idea di base è di inserire il trasmettitore, o meglio la sua bobina, su un tratto di binari, mentre il ricevitore va inserito sotto il locomotore, o comunque nella stessa carrozza dove sta il pacco batterie. Dobbiamo però prima considerare alcuni requisiti per il funzionamento del sistema Qi-Charger:

  • La distanza di funzionamento fra le bobine è meno di 8mm, e non devono esserci ostacoli metallici fra ricevitore e trasmettitore.
  • Non devono esserci oggetti metallici di qualsiasi tipo nei pressi sia del ricevitore che del trasmettitore: interferiscono con la risonanza.
  • Al momento della ricarica il posizionamento deve essere abbastanza preciso e rimanere stabile per tutto il tempo di ricarica.
  • Il trasmettitore è piuttosto ingombrante, e posizionato sotto il binario rimane troppo distante dalla bobina ricevente, per cui va posizionato in modo differente. Dovremo smontarlo per poterlo fare.
  • Lo stesso succede per la bobina ricevente: è piuttosto grande, sicuramente più larga di un treno standard LEGO®, e troppo lunga per poterla posizionare fra i due carrelli del locomotore, per cui anche qui dovremo smontare la bobina e lavorarci sopra.

Ma andiamo con ordine.

Il trasmettitore

Tutti i trasmettitori Qi hanno grossomodo la stessa struttura:

  • La bobina di trasmissione
  • Un foglio di materiale ferromagnetico (di solito ferrite)
  • Il circuito elettronico di gestione

Il foglio di materiale ferromagnetico è parte integrante della bobina di trasmissione e deve essere accoppiato alla bobina. Aprendo un trasmettitore per Qi-charger la situazione è più o meno quella in foto.

Il trasmettitore aperto.
La bobina con sotto il foglio di materiale ferromagnetico.

Il primo problema è che la bobina col foglio di materiale ferromagnetico ha un diametro di 5cm precisi (le dimensioni fanno parte dello standard), mentre lo spazio fra i due binari LEGO è circa 3,5cm.

Confronto fra bobina e binario LEGO PF™

Si può agire in due modi in un solo modo:

  • Con un minitrapano possiamo tagliare una traversina di un binario dritto PF, ed assottigliare le due “travi” in modo da poterci inserire il gruppo bobina/foglio di ferrite dal basso. La superficie della bobina dovrà essere posizionata più o meno all’altezza dei bottoncini delle traversine. Renderà un po’ debole quel segmento di tracciato, e dovremo seviziare in modo irreparabile un elemento LEGO.
  • Stacchiamo la bobina dal foglio di ferrite, delicatamente la deformiamo per farla diventare ovale per entrare fra le due “travi”. Spezziamo il foglio di ferrite (è molto fragile e si può fare tranquillamente con le dita) alla dimensione che entra esattamente sotto la bobina e incolliamo il tutto ad una delle traversine con la colla a caldo. Non rovineremo nulla (la colla a caldo si toglie abbastanza facilmente), ma dovremo confidare nella capacità del sistema Qi-charger di tollerare un imperfetto allineamento di trasmettitore e ricevitore, diminuendo leggermente l’efficienza.

Scegliete tranquillamente fra le due alternative, sono praticamente equivalenti. Io ho preferito la colla a caldo, ma solo perché sono oggettivamente incapace di usare un minitrapano con la precisione necessaria per creare l’alloggiamento della bobina nel tracciato.

(Edit del 2 novembre 2017)
Alla fine ho dovuto gettare la spugna: l’ovalizzazione della bobina trasmittente e la rottura del fogli di ferrite rende troppo critico il sistema, e l’allineamento è delicato e difficoltoso, al punto che anche se perfettamente allineati il collegamento è instabile e inizia a fluttuare, rendendo la carica inefficace. L’unico sistema affidabile è mantenere la geometria della bobina di trasmissione (quella di ricezione non viene toccata). Qui sotto possiamo vedere il binario preparato per accogliere la bobina “nuda”. Non occorre separare bobina e foglio di ferrite, anzi lo lasciamo intatto.

Il binario modificato per accettare la bobina
La bobina in posizione

Guardando le foto sopra (oltre ad avere conferma della mia incapacità a manovrare un minitrapano…) viene il dubbio che probabilmente non è necessario tagliare la traversina, ma solo assottigliarla dal basso. Io ho preferito tagliarla per sicurezza, ma comunque non interferisce con la carica, visto che è di plastica. Inoltre ho constatato con una certa sorpresa che nonostante le “sevizie” il binario ha ancora una buona rigidità strutturale, che può essere incrementata usando una colla a caldo o meglio una colla epossidica a due componenti per fissare la bobina, ma non è necessario: si può usare anche un pezzetto di quella pasta adesiva per incollare le foto all’album, o il mastice adesivo per il lavabo o il piano cottura della cucina, costa praticamente niente ed è un ottimo adesivo, rimovibile all’occorrenza. Lo scopo è soltanto tenere in posizione la bobina, niente di più.

Faremo attenzione a far passare i fili che vanno dalla bobina al circuito di controllo sotto il binario, altrimenti verranno tranciati dal passaggio del treno dopo un po’ di giri, oltre a rovinare le ruote del treno.

La bobina inserita, vista da sopra.

Il circuito elettronico può trovare posto in una piccola struttura nascosta di fianco ai binari. Visto che qui faremo fermare il locomotore, può essere una stazione o un binario di parcheggio servito da uno scambio. Non ho dubbi che troveremo un punto dove nasconderlo nel nostro diorama ferroviario.

Senza rovinare nulla

Grazie a un altro AFOL socio ItLUG (Giovanni, LegoAmaryl nel Forum di ItLUG), che ha suggerito l’uso dei binari #3228c, fra l’altro presenti nello stesso set #60052 del treno merci. Ci sono dei problemi di allineamento, data la differente modalità di incastro, ma lavorando con i cosiddetti “jumper” ho provato a sostituire il binario “seviziato” con uno costruito, soluzione meno indigesta agli AFOL.

I pezzi necessari per la soluzione “AFOL-approved”

L’unica controindicazione è che non sarà possibile attaccare i pezzi ad una baseplate, perché saranno sfalsati di mezzo bottoncino. Si può ovviare rinunciando alle traversine ed usando jumper sotto i binari per parte della lunghezza, anche se risulta forse meno gradevole dal punto di vista estetico.

Il binario con la bobina piazzata sotto.

Qui sopra il risultato completo. Non c’è bisogno di tagliare o incollare nulla, al più usare un po’ di quella pasta adesiva di cui parlavamo sopra per tenere ferma la bobina.

Il ricevitore

La reale dimensione della bobina ricevente è abbastanza più piccola della dimensione esterna. Basta mettere in controluce il ricevitore per sincerarsene.

Il ricevitore in controluce. Il rettangolo a destra è la bobina

Il tutto è composto da tre elementi:

  • La bobina ricevente, con annesso foglio di ferrite
  • Il circuito elettronico di controllo
  • Il cavetto piatto con la spina microUSB, fragilissimo

Dato che lo spessore è intorno al millimetro, per racchiudere i vari componenti sono usati due fogli di plastica adesiva accoppiati. Separarli è abbastanza facile: tirando da un lato il cavetto e aiutandosi con l’unghia, si separano i due fogli a partire dal cavetto.

L’interno. Notare che la bobina ha un verso e sotto ha il foglio di ferrite.

Poi occorre tagliare il foglio di plastica in modo da poter piegare il circuito e farlo aderire al retro della bobina. Attenzione che la bobina ha un verso: il lato ricevente è quello dove si vedono i fili, l’altro ha il foglio di ferrite che lo scherma, quindi se sbagliamo lato non funzionerà. Il lato “buono” è quello con i rettangoli concentrici disegnati sopra il foglio di plastica protettivo e deve essere affacciato verso la bobina trasmettitore. Praticamente le due bobine devono “vedersi”. Plastica, carta, legno sono “trasparenti”, ma metalli e ferrite costituiscono uno schermo impenetrabile.

Il taglio da eseguire, lungo la linea rossa

Nella foto sopra si vedono i contatti di uscita dei 5V: quello centrale è il negativo, i due laterali sono il positivo. Sono così perché il ricevitore è in due versioni, uno anche con la spina microUSB rovesciata, quindi lo stesso cavetto, ma saldato rovesciato. Potete tranquillamente dissaldare il cavetto con un normale saldatore per elettronica, il circuito stampato regge il calore.

Dopo, i due fogli di plastica protettiva vanno tagliati a filo sia della bobina che del circuito elettronico, in modo da ridurre le dimensioni il più possibile senza impattare sul funzionamento. Possiamo anche togliere del tutto i fogli protettivi, solo che la bobina sarà esposta e diventa facile rovinarla, è piuttosto delicata. Io ho preferito tenere solo quelli sulla bobina, e tagliarli a filo fra il circuito elettronico e la bobina stessa, lasciando a nudo il circuito: è meno esposto, una volta ripiegato dietro la bobina.

Ho poi sostituito il cavetto con uno un po’ più lungo e meno fragile, perché quello originale è veramente delicato e troppo corto. Attenzione a rispettare la polarità, di solito hanno il negativo al centro dei tre contatti e i due laterali sono il positivo dei 5V. Ho preso una piastra 2×4 e l’ho incollata con la colla a caldo sopra la bobina con il circuito ripiegato sopra ed il cavetto nascosto sotto la piastra.

Il ricevitore adattato e finito. Notare il circuito ripiegato dietro la bobina e la piastra 2×4
Il lato “caldo” della bobina, quello che va messo verso il trasmettitore

Ecco il risultato finito. Basta collegare il cavetto all’ingresso del modulo TP4056 e siamo pronti.

Il sistema di carica

Il modulo TP4056 è pensato per caricare un singolo elemento Li-Ion a partire da un’alimentazione da 5V, diretta o via cavetto microUSB, infatti ha un connettore microUSB a bordo.

Il modulo ha tutto quello che serve per caricare una cella Li-Ion senza pericoli e utilizzando le specifiche consigliate da tutti i maggiori produttori di batterie. La corrente di carica è limitata a 1A, per cui qualsiasi batteria 18650 con capacità minima di 1800mAh viene caricata perfettamente e correttamente.

schema-collegamenti-PF2
Lo schema totale del circuito con il modulo di carica.

Qui sopra uno schemino di come va collegato al circuito che abbiamo realizzato nel pacco batterie “custom” al litio.

La dimensione del tutto è compatibile con l’alloggiamento all’interno del locomotore riservato al pacco batterie PF. Faremo passare il cavetto che arriva dal ricevitore Qi-Charger dal foro inferiore nel pianale del locomotore, dove passa già il cavetto che alimenta il motore.

La bobina va posizionata in modo tale che rimanga circa 1mm sopra il profilo superiore dei binari, in modo da non interferire con le curve o eventuali dettagli estetici del percorso.

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La bobina ricevitore installata sotto il locomotore.

Qui sopra un esempio di posizionamento della bobina ricevente sotto il locomotore del treno merci #60052. Lo spazio fra i carrelli e la bobina è sufficiente a far eseguire al treno le curve senza impedimenti.

Una possibile sistemazione è usare uno scambio ferroviario e creare un binario di parcheggio parallelo al binario principale, con i respingenti al termine, posizionati in modo che quando il locomotore vi arriva a contatto la bobina di trasmissione e quella di ricezione si allineano ed inizia la carica. La conferma è doppia: sul circuito che alimenta la bobina di trasmissione si accende un LED che indica l’avvenuto allineamento, mentre sul modulo TP4056 si accende un LED rosso ad indicare che arrivano i 5V in ingresso e la batteria è in carica, di solito ci voglio un paio di secondi per avere l’inizio della carica. Quando la batteria è completamente carica si spegne il LED rosso e si accende quello verde, sempre sul modulo TP4056.

Quanto costa

Trasmettitore e ricevitore Qi-Charger costano dai 16 ai 20 euro in coppia. Il modulo TP4056 si trova su Amazon a prezzi variabili fra 80 centesimi (pacco da 10 a 8 euro) e 3 euro (esemplare singolo). Se abbiamo già realizzato il pacco batteria “custom” con circa 20 euro convertiamo il tutto alla ricarica wireless. Se invece ci accontentiamo del solo modulo TP4056 con pochi centesimi aggiungiamo la funzione di ricarica USB al pacco batterie, come ha già fatto Pivan, l’appassionato LEGO che ha realizzato il pacco batterie con la stampa 3D.

Con due treni modificati possiamo andare avanti alternando (uno in carica ed uno in movimento) per una giornata intera, non male.

Un mattoncino pulito è un mattoncino felice.

Ne avevamo accennato parlando della salvaguardia della nostra collezione, è arrivato il momento di spenderci qualche parola in più.

Un bambino troppo pulito non è un bambino felice.

Mi permetto di prendere a prestito questa frase, attribuita a Giorgio Gaber (anche se non ho trovato una fonte certa), per ribadire un concetto che molti dimenticano: i mattoncini sono un giocattolo, e i bambini devono poterci giocare senza ricevere continue reprimende sul come devono giocare.

Quindi, a parte i discorsi di comodità per il gioco (e anche per noi genitori di futuri AFOL, che poi dobbiamo recuperare pezzetti sparsi ovunque e consumare fiumi di colla per riparare mattoncini rotti, minifig infortunate e veicoli incidentati), resta il fatto che i mattoncini devono sporcarsi (e anche rompersi) per fare il loro lavoro, cioè sviluppare tanti aspetti motori e cognitivi dei bambini.

Detto questo, veniamo al sodo: arriva il momento in cui è difficile capire di che colore è un mattoncino, o quando un pezzo ti rimane attaccato alle dita per la presenza di sostanze appiccicose e zuccherine (marmellata, miele, cioccolata, tutte cose trasferite dalle mani dei pargoli).

(N.B. si parla solo di pulizia. Se intendete sbiancarli, date uno sguardo qui)

Precauzioni

Prima di tutto occorre ricordare alcune caratteristiche del materiale di cui sono fatti i mattoncini:

  • i mattoncini sono di plastica, anzi, due tipi differenti di plastica: ABS per la maggior parte dei pezzi, policarbonato per i pezzi trasparenti, e per alcuni pezzi che necessitano di migliori caratteristiche meccaniche (alcuni pezzi Technic™ per esempio). La plastica è un materiale elastico e resistente, ma non è molto duro: le nostre unghie sono più dure, per non parlare dei denti. Quindi tendono a graffiarsi e ammaccarsi, anche solo sbattendo fra di loro. Inoltre il policarbonato è più duro dell’ABS.
  • L’ABS è un materiale termoplastico, ossia col calore si ammorbidisce e perde le caratteristiche di elasticità e rigidità, allo stesso modo del vetro. Non ha un punto di fusione vero e proprio, ma la sua “solidità” diminuisce impercettibilmente con l’aumentare della temperatura, ed intorno ai 105°C diventa una pasta viscosa. Questo fa sì che anche con temperature molto inferiori, se sottoposto a sollecitazioni meccaniche, tenda a deformarsi permanentemente. Per questo capita a volte di trovare piastre 8×4 (o più grandi) vistosamente imbarcate in set appena aperti: può essere che la scatola sia stata in ambienti a temperatura poco confortevole (un container sotto il sole) e la piastra si trovava sotto altri pezzi. L’ABS è utilizzabile fra -20°C e +80°C, ma già a 50-60°C, se sottoposto a sollecitazioni meccaniche, si deforma permanentemente.
  • Il policarbonato è più duro e meno sensibile al calore (la temperatura di “plasticità” è 150°C, contro i 105°C dell’ABS), ma l’acqua calda sopra i 70° lo attacca chimicamente, decomponendolo.
  • Come quasi tutte le plastiche, l’ABS è attaccato chimicamente da molti solventi, e si scioglie nell’acetone (il solvente per lo smalto delle unghie). Tanto è che l’acetone è uno dei metodi per incollare i mattoncini rotti, e uno dei componenti principali della colla per modellismo, perfetta per incollare i mattoncini. NO, i mattoncini NON SI INCOLLANO MAI! (quasi mai)
  • Sia il policarbonato che l’ABS vengono decomposti dai raggi ultravioletti. Quindi la luce del Sole è la nemesi dei mattoncini.
  • La plastica invecchia. Tutta la plastica. E l’invecchiamento ha tanti effetti, i più gravi sono meno elasticità (quindi i mattoncini diventano più fragili) e porosità (ossia il materiale diventa meno compatto e può impregnarsi di altre sostanze con cui viene a contatto).

Vanno poi considerati anche altri materiali utilizzati nei set: la gomma, le vernici delle decorazioni, gli adesivi, le stoffe, gli elastici, le corde. Fortunatamente, possiamo almeno affermare che siano tutti prodotti derivati da polimeri e fibre sintetiche, a parte la colla degli adesivi.

Polvere sugli scaffali

Noi AFOL esponiamo usualmente la nostra collezione, non possiamo farne a meno. Anche usando mobiletti con sportelli in vetro o teche trasparenti, alla fine la polvere entra dappertutto e si deposita implacabilmente. Per non parlare di quando si partecipa ad una esposizione per appassionati: capita che in un paio di giorni la polvere accumulata nasconda i colori dei mattoncini, specialmente quando ci si trova in luoghi presso prati o aree di gioco per bambini.

Qui la scelta dipende anche dalla dimensione del problema:

  • Pennelli – va bene qualsiasi pennello che abbia setole morbide, preferibilmente naturali. Vanno bene i pennelli per imbiancare, quelli per tempera ed acquerello, e ne servono di varie misure, per i lavori su grandi superfici e nei dettagli. Ottimi anche i pennelli da barbiere (sia quelli per il sapone da barba che quelli per togliere i frammenti di capelli dal collo, fastidiosissimi) e quelle spazzole con le setole morbidissime per i neonati, se ancora si trovano in commercio. L’unico difetto è che spostano la polvere, non la eliminano.
  • Bombolette di aria compressa o compressore – Vanno molto bene per grandi superfici e generalmente tolgono anche la polvere più ostinata. Anche qui il difetto è che spostano la polvere, invece di eliminarla.
  • Aspirapolvere – di solito sono l’incubo dell’AFOL. Come ho detto più volte, in casa nostra non si butta mai un sacchetto pieno senza un accurato controllo visivo del contenuto. Adottando però alcuni accorgimenti, l’aspirapolvere può essere la nostra salvezza: in coppia col pennello e mettendo davanti la bocchetta di aspirazione un pezzo di stoffa a rete (tipo una calza femminile o un quadrato di tulle preso da una bomboniera o da una decorazione) è efficacissimo e i pezzi piccoli non vengono aspirati perché si fermano sulla stoffa.
  • Panni speciali – Quelli “attirapolvere”, con effetto elettrostatico, non funzionano granché: la plastica è il materiale principe per l’accumulo di cariche elettrostatiche. Funzionano bene quelli in microfibra per i vetri e le superfici delicate, da usare leggermente inumiditi con acqua.

Quello che occorre anche sapere è che la polvere non è tutta uguale: semplificando enormemente il discorso possiamo individuare alcuni tipi principali di polvere:

  • polvere “di casa” – è costituita di cose che sono normalmente nelle nostre case: un misto fra fibre di tessuto, residui del nostro corpo (frammenti di pelle, peli e capelli), briciole, fibre di cellulosa. Non è “grassa”, non è appiccicosa, è di colore chiaro e non ha caratteristiche meccaniche di nota. E’ anche quella che viene via più facilmente, usando un qualsiasi metodo di quelli detti sopra. Inoltre è una polvere “innocua”, cioè non lascia residui chimici e non graffia le superfici quando viene tolta con un pennello o un panno.
  • polvere “di terra” – viene di solito da superfici in cemento o muratura, campi, aree “verdi”. In breve, da tutte le situazioni che vedono una superficie di materiale edile, sabbia o terra esposta. E’ il tipo più frequente alle esposizioni degli appassionati, spesso all’aperto in tendoni, in capannoni col pavimento in cemento grezzo o in luoghi vicino parchi e aree verdi. E’ costituita di granelli minutissimi del materiale da cui proviene, e può essere sottilissima, impalpabile, ed ha il colore prevalente del materiale da cui proviene: grigio se cemento, bianca se da terra battuta o da ghiaia, marrone-rosso se da mattoni o da aree destinate allo sport. E’ estremamente abrasiva, e se è “strofinata” sulla superficie dove è depositata opera come la carta smeriglio. Toglierla è in teoria facile, ma occorre evitare di “premerla” verso la superficie: il pennello va bene, ma deve essere molto morbido; l’aria compressa deve avere poca pressione, altrimenti lavora come una smerigliatrice a sabbia; l’aspirapolvere è ottimo, ma non sempre ha la potenza per staccare la polvere dalla superficie; i panni in microfibra funzionano, sempre umidi, ma il primo passaggio di pulizia deve essere fatto “tamponando” la superficie, non strofinando, per far attaccare la polvere al panno, che poi va sciacquato prima di passarlo una seconda volta, altrimenti è come usare la smerigliatrice.
  • polvere “di inquinamento” – scarichi dei mezzi di trasporto, fumi delle caldaie condominiali, scarichi industriali, polveri sottili da inquinamento, tutte queste polveri hanno una consistenza minutissima e sono costituite da particelle di sostanze chimiche grasse e collose, oltre ad avere molto spesso un colore molto scuro. Ha inoltre la caratteristica di penetrare nei materiali dove si deposita se vi rimane per un tempo sufficiente. I fumi originati dalla combustione del carbone sono leggermente differenti, e hanno caratteristiche più simili alla polvere “di terra”, anche se hanno una parte di sostanze grasse. E’ probabilmente il tipo di polvere peggiore, perché è difficile da rimuovere e macchia. I panni in microfibra sono il metodo migliore, e se la polvere è molto grassa, si possono aggiungere all’acqua detergenti del tipo normalmente utilizzato per pulire i vetri.

Nella realtà quotidiana, la polvere non è di un unico tipo, è piuttosto un misto dei tre tipi, ma uno sarà sempre prevalente, quindi vale la scelta del metodo adatto per il tipo prevalente.

Patatine fritte, birra e mattoncini

Ebbene, lo ammetto: quando costruisco qualcosa, ho sempre il supporto di una ciotola di patatine fritte ed una birra ghiacciata. E’ rilassante e gratificante. Certo, alla fine qualche creazione viene fuori un po’ “unta”.

E’ un classico: “bambini, cosa volete per merenda?” chiesto mentre sul pavimento è in corso la costruzione del più alto grattacielo che minifig abbia mai visto, o nel pieno di una battaglia fra il Regno del Leone Dorato e il Principato del Drago Nero. Abbandonare i mattoncini è impossibile, per cui spesso si finisce per avere mattoncini talmente appiccicosi che si tengono anche senza incastro, o che non tengono più l’incastro perché troppo unti.

In qualche modo dobbiamo intervenire per riportarli a condizioni decenti, ma in questo caso le cose, paradossalmente, sono più semplici: panni morbidi, meglio se di microfibra, leggermente inumiditi con acqua. Se il panno è di microfibra non servono detergenti, la microfibra ha potere sgrassante, mentre nel caso di panni normali può aiutare un detergente per vetri e superfici delicate, spruzzato sul panno, non sui mattoncini.

Se invece parliamo di miele o marmellata, il panno deve essere un po’ più bagnato, per sciogliere le sostanze zuccherine.

Quando ci vuole, ci vuole

Magari li abbiamo comprati usati ad un mercatino. Oppure li avevamo in uno scatolone in garage, dimenticati da tempo. Oppure il pargolo ci ha giocato ininterrottamente da quando ha mosso i primi passi, e adesso chiede le chiavi dell’auto.
Alla fine, uno si arrende: occorre lavarli.
Qui è ancora più facile di tutte le altre situazioni, anche perché non abbiamo molte alternative:

  • Acqua tiepida, massimo 45°. Abbiamo detto che il calore eccessivo deforma i mattoncini: evitiamo, e comunque non serve più calda, davvero.
  • Detergente per tessuti sintetici. Così siamo sicuri che non toccherà in nessun modo i mattoncini, né sull’aspetto, né sul colore. Il detersivo per piatti è troppo aggressivo, quello per lavastoviglie è abrasivo, il bagnoschiuma è inutilmente profumato e poco sgrassante. Attenzione ai detergenti con effetto sbiancante: cambiano il colore dei mattoncini, operando in due modi: con la decolorazione (causata da ipoclorito di sodio o perossido di idrogeno, volgarmente: candeggina e acqua ossigenata) e con uno sbiancante ottico, ossia un colorante che inganna l’occhio.
  • Spazzolino da denti, possibilmente nuovo. Gli spazzolini da denti sono gli unici che hanno le setole con la punta arrotondata, proprio per non graffiare le gengive. Se non graffiano le gengive, a maggior ragione non graffieranno i mattoncini.

Prendiamo due vaschette e le riempiamo di acqua tiepida (troppo calda deforma i mattoncini, ricordate?), poi ad una aggiungiamo il detersivo per tessuti sintetici e lo facciamo sciogliere per bene. Vi aggiungiamo i mattoncini, anche pochi per volta. Se sono poco sporchi, basta agitare un po’ l’acqua con le dita ogni tanto, e lasciarli a bagno per una decina di minuti. Se invece sono molto sporchi, soprattutto intorno ai bottoncini o nei dettagli, occorre lavorare di spazzolino da denti, delicatamente, spostando quelli spazzolati nella vaschetta con l’acqua pulita.

Facciamo attenzione ai pezzi decorati ed a quelli con gli adesivi: sia la vernice che l’adesivo potrebbero essere rovinati sia dall’acqua che dallo spazzolino o dal detersivo, quindi li teniamo da parte e li laviamo passandoli rapidamente prima nell’acqua col detersivo e poi sciacquandoli, senza tenerli a bagno a lungo.

Possiamo invece lavare tranquillamente le parti in gomma, le corde ed i cordini, gli elastici, le parti di stoffa (vele e mantelli): detersivo ed acqua tiepida sono perfettamente compatibili con questi materiali.

Alla fine, mettiamoli con tutta la vaschetta sotto il getto dell’acqua fredda: quando non faranno più schiuma saranno perfettamente sciacquati e puliti. Scoliamoli e disponiamoli dentro un canovaccio da cucina, una tovaglia o un vecchio lenzuolo, puliti, ovviamente. Per togliere l’acqua in eccesso possiamo fare la centrifuga “a mano”: chiudiamo il panno prendendo saldamente i quattro angoli, poi lo facciamo roteare rapidamente a braccio esteso (fatelo all’aperto, altrimenti bagnerete tutta la stanza…). Tolta l’acqua in eccesso, apriamo il panno e disponiamoli ben sparsi in un solo strato, in modo da farli asciugare all’aria libera. Niente asciugacapelli o altre fonti di calore dirette, peggio che mai il Sole. E’ ammesso il termosifone o il climatizzatore, ma la temperatura deve essere tale da essere confortevole per un essere umano: se vi mettete nello stesso punto non dovete sudare, capiamoci.

Per chi ha fretta

Se siete AFOL degni di questo nome, quello che segue non lo farete mai, neanche se aveste da pulire una tonnellata di mattoncini inglobati nel miele miscelato con l’olio della frittura di pesce e sepolti nel letame.

Premesso ciò, se i mattoncini sono già abbastanza vecchi e hanno perso la brillantezza, se proprio non vi preoccupa la comparsa di graffietti e piccole ammaccature, se avete poca pazienza e non vi importa di rovinare un po’ i mattoncini, si può fare un lavaggio in lavatrice dentro un sacchetto di quelli a rete per la biancheria o dentro due federe da cuscino, una dentro l’altra, entrambe ben chiuse, se volete avere la vostra lavabiancheria ancora funzionante al termine: un paio di mattoncini 1×1 incastrati nella pompa di scarico dell’acqua e vi tocca chiamare l’assistenza. Poi non dite che non vi ho avvertito.

Come sopra, usate un detersivo per tessuti sintetici e verificate che non vi siano residui di candeggina o sbiancanti. No, l’ammorbidente è inutile: non diminuisce il dolore se calpestate un mattoncino a piedi nudi. Impostate un programma per tessuti delicati o sintetici, temperatura massima 40°. Evitate la centrifuga, ma se proprio volete ignorare tutti gli avvertimenti, impostate la più breve e delicata possibile.

Alla fine avrete i mattoncini puliti e graffiati a puntino, ma tanto li volevate puliti e al diavolo i graffi.

Non nominatela nemmeno

La lavapiatti. NO. Zitti.

Treni 9V LEGO®: automazione di base

Qualche tempo fa mi è stato sottoposto un problema da un appassionato LEGO: gli è stato chiesto di esporre un diorama a tema City, con tanto di treni in movimento. Lui, sull’onda dell’entusiasmo, non solo ha accettato, ma ha anche rilanciato, aggiungendo le giostre in movimento, cioè la ruota panoramica, il carosello e la giostra, tutti motorizzati.

A mente fredda, ha iniziato a ragionare un po’: esposizione per alcune settimane, treni in movimento per 8 ore al giorno, motori del luna park in funzione per 8 ore al giorno, uguale: una strage di motori in pochi giorni. Tipica situazione in cui ci si ricorda dell’amico geek.

La richiesta e le specifiche tecniche

La richiesta è che i treni facciano uno o due giri del tracciato e poi si fermino per un paio di minuti per far raffreddare il motore. I tracciati sono al massimo tre, indipendenti, ognuno con la sua stazione ed il suo treno in movimento.

L’alimentazione viene dal trasformatore/regolatore a 9V dei treni LEGO, con i cavetti di prolunga, con minime modifiche agli elementi LEGO, in modo da poter riutilizzare i treni immediatamente una volta terminata l’esposizione, senza dover ripristinare alcunché.

La soluzione proposta

La risposta è naturalmente l’impiego di un microcontroller della famiglia Arduino, in particolare un Arduino Nano. Queste le principali caratteristiche:

  • Sui treni non verrà installato nulla, e nulla sarà modificato.
  • L’alimentazione non può essere prelevata dal regolatore/trasformatore, ma deve essere indipendente. Dato che la marcia dei treni può essere rallentata, accelerata o invertita, la tensione disponibile non è adatta ad alimentate il microcontroller. Per cui sarà utilizzato un normalissimo alimentatore/caricabatterie USB da cellulare in grado di fornire almeno 500mA (praticamente tutti).
  • Dato che i treni devono fermarsi in corrispondenza della stazione, occorre utilizzare un sensore che rilevi il passaggio del treno: un sensore di prossimità ad infrarossi è l’ideale.
  • La tensione di alimentazione dei treni deve essere controllata solo ed unicamente dal trasformatore LEGO, quindi niente circuiti elettronici, ma soltanto un semplice relè per interrompere l’alimentazione. Un modulo relè è quello che serve.
  • Non sapendo in anticipo la configurazione dei tracciati e la posizione delle stazioni, occorre permettere a chi monta il diorama il collegamento dei sensori e dei relè al microcontroller, usando al massimo un cacciavite ed un paio di forbici. A questo scopo microcontroller, sensori e relè saranno dotati di morsettiera elettrica a vite, ed i collegamenti saranno fatti con del cavetto per antifurto da 4×0,22mm², facilmente reperibile e dal costo contenuto.
  • In caso di guasto, oppure quando si voglia escludere il controllo e fare a mano, è sufficiente spegnere il microcontroller scollegando l’alimentatore USB. Da quel momento i treni saranno esclusivamente sotto il controllo dell’alimentatore/regolatore LEGO.

Andiamo al sodo

Qui sotto lo schema elettrico per il controllo di quattro tracciati indipendenti.

Lo schema elettrico del controllo treni

Se serve c’è una versione in PDF.

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A destra il controllo treni costruito. A sinistra il controllo giostre (ne parleremo più avanti)

Qui sopra a destra c’è il controllo treni. La fila di morsetti in nero è l’ingresso dei sensori di prossimità, ognuno con suoi contatti di alimentazione, per facilitare il collegamento dei fili. La fila in verde invece è destinata ai relè, anche qui ognuno con i suoi contatti di alimentazione.

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Il sensore di prossimità con la morsettiera

Sopra c’è il sensore di prossimità con la morsettiera. La vitina grigia nel componente quadrato in blu serve per la regolazione della distanza di rilevamento.

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Il modulo relè con la morsettiera

Il modulo relè ha una morsettiera (quella in blu) che riporta i contatti del relè stesso. Si useranno i contatti COM e NC, ossia la coppia di contatti chiusi quando il relè non è alimentato, così se si toglie alimentazione al circuito del microcontroller i treni tornano sotto il controllo unico del trasformatore/regolatore LEGO.

Schema a blocchi con i collegamenti

Qui sopra è indicato come vanno collegati relè e sensori al microcontroller.

Per non rovinare il cavetto che porta la corrente ai binari 9V, si usa un cavetto di prolunga (#5306bc015 o simili). Uno dei due fili va tagliato e le due estremità spellate e collegate ai terminali COM e NC del relè. Questo cavetto poi andrà fra il regolatore e il cavetto che porta corrente ai binari 9V: quando il relè interviene viene tolta alimentazione ai binari, fermando il treno.

Dove posizionare il sensore

Il sensore di prossimità va posizionato nel punto dove vogliamo si fermi il treno, in particolare il frontale del locomotore. I due componenti ottici (le due cupolette, una trasparente ed una nera) devono essere a circa 2cm dal fianco del treno, per consentire un rilevamento affidabile del passaggio. Per regolare il sensore, prima di posizionarlo, tenendolo sollevato da qualsiasi superficie e lontano da ostacoli, si gira la vitina grigia fino a far accendere il rilevamento (come se ci fosse qualcosa davanti), poi si ruota in senso contrario, lentamente, fino a che il sensore torna a riposo: in questo modo è regolato per la massima sensibilità.

Una volta posizionato, il sensore dovrebbe attivarsi solo quando il treno ci passa davanti. Fare qualche prova per verificare che la regolazione sia ottimale spingendo manualmente il treno davanti al sensore. Attenzione a condizioni di illuminazione sfavorevoli, tipo la luce del sole diretta o un faretto che punta verso il sensore: ne verrebbe accecato.

Il programma

Il programma da inserire nel microcontroller è nella pagina del progetto su GitHub. Occorre l’Arduino IDE, gratuito, per poter trasferire il programma nel microcontroller tramite un cavetto USB.

// timings in millisec
#define TIME_STOP	80000	// 80 sec
#define TIME_RUN	20000	// 20 sec
#define TIME_DELTA	20000	// 20 sec
#define TIME_MAX	120000	// 120 sec maximum run time without hit a sensor

In cima allo sketch (il nome dei programmi per il microcontroller Arduino) trovate le righe di codice qui sopra. Sono i tempi di intervento e di pausa in millisecondi, millesimi di secondo:

  • TIME_STOP – indica il tempo minimo in cui il treno rimane fermo alla stazione, dopo aver attivato il sensore di prossimità passandoci davanti. Qui è di 80 secondi
  • TIME_RUN – indica il tempo minimo in cui eventuali segnalazioni del sensore vengono ignorate. Se il circuito è abbastanza corto, il treno può percorrerlo più volte passando davanti al sensore, il microcontroller ignorerà le segnalazioni fino allo scadere del tempo indicato. Qui è di 20 secondi. Attenzione a mettere un tempo troppo breve: se il treno è partito ma ancora non ha oltrepassato completamente il sensore quando il tempo scade, il microcontroller fermerà di nuovo il treno.
  • TIME_DELTA – Per evitare che tutti i treni abbiano esattamente gli stessi tempi di avvio e di fermo, un tempo casuale che va da 0 al tempo indicato qui viene aggiunto sia al tempo di fermo che al tempo minimo di marcia. Tale tempo è diverso ogni volta e calcolato casualmente, così non si avranno mai i treni che partono e si fermano tutti contemporaneamente anche in caso di circuiti tutti esattamente uguali. Il valore scelto è di 20 secondi.
  • TIME_MAX – Definisce il tempo massimo di marcia in assenza di qualsiasi segnalazione dal sensore di prossimità. Se per qualche motivo un sensore fallisce o si sconnette uno dei fili, dopo che un treno ha camminato per il tempo indicato qui verrà fermato dove si trova allo scadere del tempo. Il treno rimarrà fermo per TIME_STOP, poi riprenderà a marciare. E’ un sistema di sicurezza per evitare di bruciare un motore in caso di sensore malfunzionante o regolato male, che quindi non ferma mai il treno. Il massimo scelto è di due minuti.

Questi valori possono essere cambiati a piacere, ricordando che il tempo è espresso in millisecondi, quindi un secondo va indicato come 1000, un minuto come 60000. Niente punti, virgole o altri simboli.

All’avvio i treni partiranno con un ritardo variabile fra i 10 ed i 100 secondi, calcolato casualmente e diverso per ogni treno. Anche questo è pensato per evitare che partano o si fermino tutti contemporaneamente.

Difficoltà e costi

La difficoltà principale è la costruzione del circuito con microcontroller e morsettiere: occorre una basetta millefori, un saldatore per elettronica, filo e manualità. Il resto è tutto in discesa.

Per i costi, pensando di acquistare tutto online:

  • Microcontroller Arduino Nano (compatibile non originale): 4 euro
  • Cinque sensori di prossimità: 8 euro
  • Cinque moduli relè: 9 euro
  • Alimentatore USB 5V 2A e cavetto USB mini da 3m: 15-20 euro (l’alimentatore è ampiamente sovradimensionato, il circuito assorbe al massimo 0,2A)
  • 20 morsettiere a tre poli (ne servono 16): 9 euro
  • Minuterie e materiale di consumo: 5 euro

In tutto 50-55 euro al massimo, per quattro tracciati indipendenti, ed avanza un relè ed un sensore di prossimità di scorta. Se si possiede già alimentatore e cavetto il costo scende a circa 35 euro, un costo tutto sommato contenuto.

Va aggiunto il costo del cavetto per gli antifurto, siamo attorno ai 10 euro per 25 metri di cavetto, dipende da quanto ne serve: se il diorama è piccolo ne basta poco.

Treni LEGO® e batterie al Litio, semplice

Continuando la nostra ricerca per ridare vita ai nostri treni 9V col motore guasto, l’unica alternativa sembra essere la conversione all’uso degli elementi Power Functions: motori più efficienti, telecomando, tracciato con binari in plastica.

Le obiezioni sono tante, però:

Dopo aver effettuato prove e misurazioni su vari tipi di accumulatori, possiamo passare alle prove sul campo, confrontando la soluzione NiMH con una soluzione “custom” Li-Ion molto semplice.

Avvertenze di rito: niente di quello che viene scritto e detto qui ha una qualche forma di garanzia di funzionamento o di utilità. Le operazioni richiedono esperienza nel campo, mentre i componenti utilizzati hanno limiti e precauzioni d’uso, e vanno maneggiati solo da persone con specifiche competenze. Non mi assumo nessuna responsabilità né sul funzionamento né su eventuali danni a persone o cose che possano derivare da usi impropri o imprudenti di quanto qui descritto. Gli accumulatori al Litio hanno specifiche precauzioni d’uso, riferirsi alle schede tecniche dei rispettivi produttori.

Un po’ di teoria

L’esperto da consultare in tema di motori elettrici e componenti 9V/PF LEGO è il notissimo (agli AFOL) Philippe “Philo” Hurbain, il cui sito è colmo di informazioni sul tema. Molte delle informazioni che seguono vengono dal suo lavoro sui componenti Power Functions.

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Il connettore PF

Qui sopra c’è lo schema dei contatti elettrici del connettore PF:

  • I due contatti 9V e 0V portano la tensione per tutti gli utilizzatori che richiedono una alimentazione fissata (luci, ricevitori telecomando). La polarità e la tensione su questi due contatti non cambia e non deve mai cambiare, pena la distruzione dei circuiti collegati.
  • I due contatti C1 e C2 portano invece l’alimentazione per i motori, possono anche cambiare di polarità (per esempio per far girare un motore al contrario).
  • Per mandare i motori più o meno velocemente, la tensione sui contatti C1 e C2 non varia di livello, ma viene usato un sistema chiamato PWM, in cui al motore viene mandata una sequenza di impulsi veloci la cui tensione è sempre 9V, ma la cui durata varia in proporzione alla velocità che si vuole dal motore: più gli impulsi durano e più veloce gira il motore. E’ questo il motivo del leggero sibilo che si sente quando si avvia un treno PF a bassa velocità.
Funzionamento PWM

Quindi, se vogliamo alimentare un treno PF con ricevitore a infrarossi, dobbiamo mandare 9V fra i contatti 9V e 0V. Sarà poi il ricevitore a infrarossi a comandare i motori tramite i contatti C1 e C2 dei motori stessi.

Gli ingredienti

Tutti i pezzi che utilizzeremo sono facilmente reperibili, e per il collegamento ai componenti PF dovremo sacrificare un solo cavetto PF da 20cm #8886 con cui potremo realizzare due blocchi di alimentazione con batterie al Litio, per due treni.

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L’accumulatore al Litio

Il cuore è un singolo accumulatore al Litio di tipo 18650 (reperibile su Amazon), il cui costo va da 3 ai 9 euro in funzione della marca e della capacità. Quello mostrato è da 2600mAh, una delle capacità più basse disponibili, e una delle più economiche.

Come abbiamo visto in precedenza, un singolo accumulatore al Litio è in grado di fornire abbastanza energia da superare sia le batteria alcaline che gli accumulatori NiMH. Se poi aggiungiamo che la batteria pesa intorno ai 45g contro i 12g di una singola ministilo, cioè 72g per le sei batterie, abbiamo anche un vantaggio per il peso.

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Il convertitore di tensione MT3608

Naturalmente non possiamo mandare a 3,7V il treno: probabilmente il ricevitore a infrarossi PF funzionerebbe (con 4V funziona tranquillamente), ma il treno al massimo sarebbe una lumaca, se pure riuscisse a muoversi. Ed ecco che entra in gioco il secondo ingrediente, già visto nelle prove: un piccolo circuito elettronico in grado di portare i 3,7V della batteria al litio a qualsiasi tensione fra i 5 ed i 28V con corrente di 2A, impiegando il componente MT3608 (reperibile su Amazon).

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Lo schema di collegamento

Qui sopra lo schema a blocchi di quello che andremo a realizzare.

Per prima cosa tagliamo il cavetto PF e separiamo i due conduttori esterni dai due interni. Isoliamo i due conduttori interni e prepariamo i due esterni per la saldatura.

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Il cavetto tagliato e modificato (sotto)

Qui sopra il cavetto preparato e l’altro pezzo pronto per essere utilizzato successivamente. Posizionando il cavetto come in foto, il positivo 9V è sempre il filo in alto.

Se vogliamo alimentare direttamente un motore, che sia 9V o PF, dovremo utilizzare necessariamente i conduttori centrali del connettore (C1 e C2), ma avremo un problema: il motore partirà appena collegato e girerà sempre nello stesso verso e sempre al massimo, una situazione poco utile.

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Il portabatteria e la batteria

Il portabatteria farà da sostegno per tutto il circuito, useremo la colla a caldo per fissare i pezzi fra loro.

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Il tutto assemblato

Ecco sopra il tutto collegato. Manca solo la parte finale: la taratura.

Dopo aver inserito la batteria nel portabatteria, tramite la vite dorata stabiliremo la tensione d’uscita. Occorre munirsi di tester (uno economico andrà benissimo) e girare con un cacciavite fino ad avere 7-8V, per massimizzare la durata dell’accumulatore al Litio. Possiamo azzardare ed arrivare fino a 10-11V, naturalmente a nostro rischio e pericolo (non mi assumo responsabilità sia ben chiaro). Per il test ho regolato l’uscita esattamente a 7V, per avere condizioni molto vicine all’uso degli accumulatori NiMH.

Ora possiamo collegare il pacco batterie al resto del treno, alimentando il ricevitore ad infrarossi.

Il test

Come sempre, alla prova dei fatti le cose vanno abbastanza diversamente da quanto calcolato, ma questo è atteso.

Per poter effettuare dei test sensati, ho usato il treno merci LEGO del set #60052, con un tracciato ovale costituito da due segmenti rettilinei da 5 binari dritti ognuno e due curve a semicerchio costituite ognuna da 8 binari curvi. La lunghezza totale del circuito è circa 328cm (±2cm).

Per “inquinare” il meno possibile il test ho sostituito solo il pacco batterie, per cui l’unica misura possibile è il tempo di percorrenza del circuito, da cui ricavare un’indicazione sia della qualità dell’energia erogata dal pacco batterie che della durata degli accumulatori: ho preso di nuovo un Arduino e un sensore di prossimità a infrarossi, con un programma che misura l’intervallo di tempo che intercorre fra due passaggi del treno. I treni sono stati sempre mandati alla massima velocità tramite il telecomando PF.

Arduino e sensore di prossimità piazzati vicino al tracciato

Poi ho pesato il treno, sia con il pacco batterie originale e accumulatori NiMH, sia col pacco batteria Li-Ion “custom”:

  • Peso del locomotore con pacco batterie standard: 508gr
  • Peso del locomotore con pacco batterie “custom”: 455gr
  • Peso del resto del treno: 460gr
  • Peso del treno intero con pacco batterie standard: 968gr
  • Peso del treno intero con pacco batteria “custom”: 915gr

Possono sembrare pochi, ma 50 grammi in meno significano vari dettagli in più: 30 mattoncini 1×4 o 78 plate 2×2 o 22 plate 2×8.

Perché il peso? Perché proprio il peso è l’elemento principale nella determinazione del consumo di un motore di treno: l’energia necessaria per spingere ad una certa velocità un treno che pesa il doppio è esattamente il doppio, come definisce la fisica di base:

E = 1/2 m v²

mentre se si vuole raddoppiare la velocità a parità di peso serve il quadruplo dell’energia.

I costruttori di treni lo sanno bene: limitare il peso è fondamentale, se si vuole avere più velocità e meno consumo.

Andiamo al sodo, qui sopra i risultati del test:

  • la prima cosa da notare è che la durata in entrambi i casi è il 30% in meno rispetto ai test fatti con un carico resistivo. E’ in un certo senso atteso, ma è da tener presente nell’impiego degli accumulatori in situazioni reali.
  • è comunque confermata la durata superiore degli accumulatori al litio rispetto agli accumulatori NiMH: oltre il 50% in più
  • la velocità di crociera con gli NiMH tende a diminuire nel tempo (linea azzurra tratteggiata nel grafico), mentre nel caso degli accumulatori Li-Ion rimane costante (linea arancione tratteggiata)
  • la velocità media dei due casi è paragonabile: 79cm/sec per gli NiMH, 80cm/sec per Li-Ion

Sì, ma quanto mi costi?

Per convertire il nostro treno 9V a PF occorre: motore #88002 (13,99 listino LEGO, 15 prezzo medio Bricklink), ricevitore #8884 (16,99 listino LEGO, 18 prezzo medio Bricklink), telecomando #8879 (14,49 listino LEGO, 16 prezzo medio Bricklink) a cui bisogna aggiungere il pacco batterie:

  • Accumulatori NiMH: pacco batterie #88000 (listino LEGO 13,99, prezzo medio Bricklink 20 euro) + batterie (12 da 750mAh, 12 euro) + caricabatterie rapido (4 posti, 16 euro), totale 41,99 euro
  • Accumulatori Li-Ion: pacco batteria “custom” (compreso il cavo LEGO tagliato, 7 euro) + batterie (2 da 2600mAh, 12 euro) + caricabatteria Li-Ion (2 posti, 20 euro), totale 39 euro
  • Pacco batteria ricaricabile LEGO originale: pacco batteria Li-Ion #8878 (69,99 euro di listino, prezzo medio Bricklink 63 euro) + caricabatteria LEGO #45517 (29,99 di listino, prezzo medio Bricklink 25 euro), totale 99,98 listino LEGO, 88 prezzo medio Bricklink

In totale, 87,46 euro per la versione NiMH (45,47 + 41,99), 84,47 euro per la versione Li-Ion (45,47 + 39), 145,45 euro per la versione col pacco batterie al litio originale LEGO (45,47 + 99,98).

Se invece abbiamo già un treno PF e vogliamo utilizzare gli accumulatori, i costi diventano: 28 euro la versione NiMH (il pacco batterie #88000 è già presente nel treno), 39 la versione “custom” Li-Ion, 99,98 per la versione originale LEGO Li-Ion.

Nel prezzo del pacco batterie “custom” non è calcolato il lavoro per costruirlo.

Conclusioni

Chiudiamo qui questo primo giro di test. Ci è servito per capire quanto sia fattibile trasformare un treno 9V in PF, e sostituire il pacco batterie standard LEGO con un pacco batterie Li-Ion “custom”. Dal punto di vista meramente economico, molto dipende da quanto uso si fa del treno: per un uso saltuario sicuramente la soluzione NiMH è da preferire, anche perché le stesse batterie sono utilizzabili per molti altri apparecchi (telecomandi, piccoli elettrodomestici, giocattoli).

Usando le Li-Ion abbiamo durate maggiori per usi pesanti, e quindi sarebbero utilizzabili in situazioni relative a eventi brevi, 1-3 giorni.

Riguardo il prezzo, la soluzione Li-Ion “custom” ha un prezzo non molto differente dalla corrispondente NiMH, garantendo con due batterie un totale di oltre sei ore di marcia continua ad alta velocità: non è certo il moto perpetuo, ma è già un passo avanti.

Certo, se si potesse ricaricare il pacco batterie senza smontarlo dal treno, magari sacrificando la marcia continuata, per esempio simulando la fermata del treno alla stazione ad ogni giro, non sarebbe una cattiva idea.

Treni LEGO®: quali batterie?

Nella precedente dissertazione abbiamo visto che non esiste una soluzione definitiva per allungare la vita dei treni 9V. Questo però non vuol dire che si rinunci a cercare delle alternative, al contrario, prima di scegliere una possibile strada da esplorare conviene fare come tutti i tecnici fanno: raccogliere informazioni, e come tutti i tecnici sanno, la strada maestra è mettere mano ad attrezzi e strumenti di misura.

Il laboratorio

Il laboratorio

Per poter effettuare i test mi serviva di registrare le misure in automatico, leggendo più valori contemporaneamente. La soluzione è stata usare un Arduino con un semplicissimo programma di lettura dati che trasmettesse via USB i valori letti al computer.

Naturalmente i valori erano semplici numeri interi, per cui ho effettuato una calibrazione per determinare la scala corrispondente e trasformare i valori letti in misure di tensione, procedura di routine.

Ho poi selezionato alcune resistenze di potenza da usare come carico fittizio stabile: usare un motore non è pratico perché è difficile avere un comportamento costante nel tempo e trovare due motori con le stesse identiche caratteristiche elettriche. Inoltre la corrente a vuoto assorbita da un motore elettrico è una frazione di quella assorbita in condizioni di lavoro reali: la corrente sotto carico può arrivare a 10-15 volte la corrente assorbita a vuoto, e considerando che occorre applicare una forza meccanica stabile al motore per avere un carico costante è presto dimostrato che occorra semplificare le condizioni del test, per avere misure affidabili. In breve, ho usato due resistenze da 15Ω in serie, ossia 30Ω in totale.

Come tutte le situazioni in cui si effettuano delle misure, avremo un errore di misurazione: per contenerlo ho verificato che le resistenze siano di valore più vicino possibile ai 15Ω e che le letture fatte dal microcontroller Arduino siano per quanto possibile calibrate, misurando con uno strumento professionale le tensioni corrispondenti. In breve l’errore totale di tutta la procedura dovrebbe essere sotto il ±2%. Per sicurezza, al termine di tutti i calcoli, tutti i valori saranno considerati entro il 5% di errore, un margine più che accettabile.

Il test

Ho usato tre differenti categorie di batterie:

  • accumulatori AAA NiMh da 750mAh di due marche differenti, entrambe conosciute e di qualità elevata (pacco da sei)
  • accumulatori Li-Ion da 3,7V 2600mAh tipo 18650 di una nota marca (singolo accumulatore)
  • batterie AAA alcaline non ricaricabili di marca (come confronto, pacco da sei)

Sia per le NiMH che per le Li-Ion ho eseguito tre test completi, misurando ogni minuto la tensione ai capi del carico da 30Ω, in modo da poter poi dedurre la corrente e la potenza erogata usando come valori misurati tensione e resistenza:

I = V/R
W = V²/R

Calcolando ogni minuto corrente e potenza fino al momento in cui la tensione cala sotto i 4V, si ottiene sia la capacità in mAh che l’energia in mWh. In realtà la misura che ci interessa è l’energia disponibile totale, perché la capacità in mAh ha senso solo a parità di tensione erogata, e questo è impossibile da realizzare, visto che ogni tipo di batteria ha una tensione di erogazione differente e la tensione di erogazione cambia nel tempo, come vedremo.

Il comportamento è piuttosto differente, e rende ogni tipo adatto a differenti situazioni. Per ogni tipo vediamo brevemente il comportamento.

Le alcaline non ricaricabili

Il grafico sotto mostra l’andamento della tensione sotto carico. Quello che si nota da subito è che se inizialmente la tensione erogata è sopra gli 8V, dopo appena una decina di minuti cala sotto 8V. Nella prima ora continua a calare fino a 7V, per poi proseguire più lentamente. Allo scadere delle 4 ore e 30 si ha il crollo.

Il comportamento delle batterie alcaline AAA

Il comportamento su un treno LEGO sarà che nella prima ora la velocità di crociera del treno sarà soddisfacente, ma per tutto il resto della carica delle batterie avremo una velocità massima ridotta.

Il ricevitore del telecomando PF funziona tranquillamente fino a 4V (probabilmente anche a tensioni più basse), ma a quel punto sono i motori che non riescono più a girare a causa della tensione troppo bassa. Ricordiamoci che a vuoto un motore elettrico riesce a girare anche con poco, ma sotto carico, cioè quando deve trascinare un treno di tre-quattro vagoni, le cose cambiano e se la tensione delle batterie è troppo bassa il motore va facilmente in stallo.

Gli accumulatori NiMH

Questo tipo di accumulatori è relativamente economico, sia come acquisto che come gestione. Occorrono però alcune precauzioni d’uso per massimizzarne l’efficienza e la durata: come tutti gli accumulatori, non hanno cicli d’uso infiniti, ossia si possono caricare e scaricare per un numero limitato di volte, tipicamente fra i 200 ed i 1000, in funzione della qualità, dell’uso e della conservazione.

Non vedremo questi argomenti, anche perché sono trattati estensivamente ovunque: basti sapere che una scarica eccessiva, una temperatura troppo elevata, lasciarle scariche troppo tempo sono tutti comportamenti che ne abbreviano la vita utile, e comunque ne riducono significativamente la capacità, ossia la quantità di energia che possono immagazzinare.

Gli accumulatori sono inseriti nel pacco batterie standard dei treni LEGO.

Nel primo test ho usato volutamente accumulatori un po’ più vecchi, per mostrarne il comportamento caratteristico.

Usando accumulatori vecchi non si hanno buone prestazioni

Nel grafico sopra la “gobba” verso i 90 minuti è indice che uno degli accumulatori ha esaurito la carica e non eroga più corrente, anzi si comporta come un ostacolo. In questa situazione una parte dell’energia degli altri viene dissipata come calore nell’accumulatore scarico, causando fra l’altro il fenomeno dell’inversione di polarità (l’accumulatore scarico è costretto a subire un passaggio di corrente dagli altri accumulatori, portando la scarica oltre il massimo di capacità, e la tensione dell’accumulatore sotto lo 0V) ed abbreviando la vita dell’accumulatore stesso.

I tre test con accumulatori NiMH

Negli altri due test ho usato accumulatori relativamente nuovi ed in buona salute. Come si vede la durata è praticamente doppia, e la “gobba” di scarica improvvisa è più ripida, indice che alcuni accumulatori si sono scaricati contemporaneamente.

Da notare che in entrambi i casi con accumulatori in buona salute la tensione erogata si è mantenuta al di sopra dei 7V per buona parte del tempo di scarica. Questo permette di avere prestazioni relativamente costanti dei treni.

Accumulatori Li-Ion

Questi accumulatori sono apparentemente più costosi di quelli NiMH: un accumulatore tipo 18650 costa da 4 a 8 euro, con la stessa cifra si acquistano sei/otto accumulatori NiMH tipo AAA (ministilo). Inoltre il caricabatterie costa praticamente il doppio, a parità di alloggiamenti.

Prima di procedere, dobbiamo spendere due parole su come è stato effettuato il test. La tensione nominale erogata da questi accumulatori è di 3,6V, nella realtà va da 4,2V a piena carica, a 3V scariche, quindi non si può pensare di alimentare un treno direttamente. Ho quindi selezionato due piccoli circuiti elettronici a basso costo in grado di portare i 3,6V di un singolo accumulatore a tensioni più alte con una buona efficienza energetica (i link portano ad Amazon):

  • XL6009 – ingresso minimo 3V, uscita da 5V a 35V regolabile, 4A massimi di corrente
  • MT3608 – ingresso minimo 2V, uscita da 5V a 28V regolabile, 2A massimi di corrente

Entrambi i circuiti hanno una efficienza maggiore del 90% e l’uscita è stabilizzata in tensione, per cui una volta regolati erogano sempre la stessa tensione indipendentemente dalla tensione di ingresso o dalla corrente di uscita.

Confronto fra i due regolatori

Qui appare evidente che la scelta è in qualche modo obbligata: il modulo XL6009, pur potendo lavorare con una corrente doppia, presenta un problema di stabilità quando l’accumulatore eroga meno di 3,5V, arrivando a 10V in uscita (curva rossa). Ad onor del vero, nelle specifiche riportate dal venditore dovrebbe reggere fino a 3V, ma evidentemente nel circuito c’è qualcosa che interferisce e riduce la stabilità.

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Il convertitore MT3608

Non possiamo permetterci di bruciare o rovinare qualcosa, quindi ho preferito ripiegare sul modello meno potente ma più stabile a quelle tensioni: il modello MT3608 diventa instabile solo quando l’accumulatore eroga meno di 2,7V, e l’instabilità è semplicemente il calo della tensione di uscita, non l’aumento a valori eccessivi.

Accumulatori Li-Ion, MT3608 e tre differenti tensioni di uscita

I tre test sono stati effettuati con tre diverse tensioni, per avere tre differenti profili di utilizzo: il primo test è con uscita a 9,4V, il secondo a 8V ed il terzo a 7V per avvicinarsi più possibile alle condizioni dei test con la batterie alcaline e con gli accumulatori NiMH.

Quello che appare subito è che l’accoppiata accumulatore Li-Ion/convertitore MT3608 è in grado di fornire 8V costanti per tre ore e venti minuti, arrivando a quasi 5 ore (mancano 5 minuti) con 7V in uscita: vuol dire un treno che viaggia alla massima velocità per tre o cinque ore di seguito ininterrottamente. Ricordo che parliamo di un singolo accumulatore Li-Ion.

Il confronto

Partiamo con vedere le differenze di comportamento della tensione sotto carico.

Come si comportano i vari tipi (tensione di uscita)

Nel grafico sopra sono riportati in un unico diagramma tutti gli andamenti di tensione dei sette test fatti. Non c’è nulla di nuovo, a parte il confronto diretto fra le varie tipologie.

La potenza istantanea erogata

Il grafico sopra, calcolato a partire dalla tensione erogata, mostra la potenza istantanea disponibile. L’energia totale disponibile è proporzionale all’area sotto le varie curve dei grafici. Si nota subito che l’area degli accumulatori al litio è di tutto rispetto. Ma a questo punto andiamo col diagramma più interessante.

Energia totale erogata

Gli accumulatori al Litio vincono a mani basse. Oltre alla maggiore quantità di energia erogata, grazie all’accoppiamento col modulo MT3608 tale energia viene erogata con tensione costante e sufficientemente elevata da garantirne un efficiente utilizzo da parte dei motori elettrici. Si nota anche quello che si diceva sopra, ossia che la capacità in mAh non è indicativa dell’energia totale disponibile, perché dipende a quale tensione è erogata la corrente: il test “Li-Ion 2” ha erogato l’8% in meno di corrente rispetto alle alcaline, ma avendola erogata ad una tensione superiore di almeno 2V ha fornito l’11% in più di energia.

Conclusioni

Vediamo di tirare le somme.

Le batterie alcaline sono una buona sorgente di alimentazione, dal costo relativamente basso (dai 30 ai 70 centesimi l’una). Sono convenienti per un uso sporadico e limitato nel tempo. Certamente non sono molto utili negli eventi dove dobbiamo far girare i treni per 8-12 ore al giorno, finendo per consumare sei batterie ogni 4 ore per ogni treno.

Gli accumulatori NiMH sono economici e rappresentano una valida ed economica alternativa alla batterie alcaline. Le prestazioni energetiche sono leggermente inferiori in quantità, ma migliori in qualità (tensione più alta e più stabile). Se volessimo impiegarle ad un evento ne occorrerebbero tre pacchi da sei per ogni treno: tre ore per scaricare un pacco da sei, almeno 4-5 ore per ricaricarle, il caricabatterie deve essere in grado di caricarne dodici alla volta. Un costo non indifferente: diciotto accumulatori e tre caricabatterie da quattro posti per ogni treno. Stiamo estremizzando, parliamo di treni in marcia sempre alla massima velocità, probabilmente mandandoli a velocità più bassa qualcosa si riesce a recuperare.

Gli accumulatori al Litio hanno una buona durata, sono relativamente economici, compatti e ne servono molti meno. Un buon caricabatterie impiega circa tre ore a caricare un elemento, e nei nostri treni, mandandoli a 7V, l’accumulatore impiega 5 ore a scaricarsi: con due accumulatori si potrebbe mandare un treno per una giornata intera.

Tutto questo in teoria. Ora che abbiamo una indicazione su quale accumulatore sia più appetibile, possiamo passare a realizzare un pacco batterie da impiegare nei nostri test “sul campo”.

Treni 9V, binari e l’inclemenza del tempo che passa

I treni LEGO® esistono fin dal 1966, e da sempre hanno un posto particolare nel cuore degli appassionati. Quanti della mia età, da bambini, hanno sospirato sfogliando il catalogo, ammirando i treni e immaginando di poterci giocare.

In oltre cinquant’anni il tema dei treni è stato costantemente aggiornato, beneficiando di materiali e tecnologie più moderne, anche per seguire l’evolvere delle normative sulla sicurezza dei giocattoli.

Di conseguenza, per un AFOL, i treni vengono categorizzati in funzione del periodo e del tipo di funzionamento:

  • 4,5V – alimentati con una batteria piatta da 4,5V tre batterie da 1,5V a bordo del treno stesso (grazie Domenico, ho fatto confusione con il pacco batterie dei trenini Lima, più o meno stessa epoca). I binari erano costruiti usando pezzi separati per traversine e travi: chi è più Adult ricorderà i binari blu.
  • 12V – alimentati a trasformatore, usavano gli stessi binari dei treni a 4,5V con un ulteriore segmento centrale per distribuire la corrente a 12V per tutto il percorso. Era compatibile con il materiale a 4,5V, ma solo come elementi costruttivi, non i motori. Il locomotore aveva un elemento per prelevare l’alimentazione dal segmento centrale.
  • 9V – alimentati a trasformatore. Usavano un tipo differente di tracciato, fatto in un solo pezzo, con una copertura metallica sui binari per distribuire la corrente lungo il percorso. L’alimentazione era prelevata dalle ruote in lega metallica del blocco motore.
  • 9V RC – Con questa serie LEGO ritorna un po’ alle origini, con il locomotore autoalimentato con le batterie, i binari completamente in plastica, anche se identici e perfettamente compatibili a livello di incastro con quelli della serie “9V”. Unica novità è il telecomando a raggi infrarossi (quelli di qualsiasi telecomando della TV). Nel locomotore c’è un monoblocco costituito dal portabatterie e dal ricevitore del telecomando.
  • Power Functions™ (PF) – LEGO ingegnerizza il tutto, creando una serie di elementi componibili (in parte compatibili con la serie “9V”): telecomandi (piccolo e grande), pacco batterie (piccolo, specificamente pensato per i treni, e grande), ricevitore a infrarossi, motore da treno, motori generici (usati spesso con la serie Technic™), luci e connettori.

I più amati

Al netto di qualche eccezione, le serie “9V” è la più amata e cercata dagli AFOL: il Metroliner e il Santa FE sono due icone, per un appassionato. Se siete fortunati, potete ammirarli in qualche diorama di città durante gli eventi, che camminano senza sosta nel circuito ferroviario.

Gli elementi “9V” sono anche molto utilizzati per motorizzare altri treni originali LEGO, come ad esempio l’Horizon Express nella foto sotto.

ItLUG Latina 2014
LEGO Horizon Express motorizzato
ItLUG Porto San Giorgio 2014
Un bel locomotore E656 con i colori delle Ferrovie dello Stato

Nella zona inferiore si vedono bene i binari con la copertura metallica che trasporta l’alimentazione per tutto il circuito.

ItLUG Latina 2013
Il treno Italo di NTV

Nelle foto sopra si vede il riflesso delle ruote metalliche nell’Horizon Express, nel locomotore con la livrea delle Ferrovie dello Stato e nel modello di treno Italo: tutti sono motorizzati a 9V. Nella comunità degli AFOL è presente una folta schiera di appassionati di treni che propongono modelli a mattoncini dei treni più noti o più caratteristici.

Durante gli eventi questi treni sono in continuo movimento, animando il diorama ed attirando lo sguardo dei visitatori.

I problemi arrivano puntuali

Come è facile immaginare, gli AFOL che si cimentano con i circuiti ferroviari devono mettere in conto una serie di problemi:

  • I motori elettrici non sono eterni: conosco alcuni AFOL che hanno un cassetto pieno di motori guasti o esauriti per l’uso. Dopo un evento di due giorni in cui i treni hanno camminato quasi incessantemente, fra surriscaldamento e usura è facile perdere un motore.
  • La copertura metallica dei binari non è indistruttibile: si ossida, si consuma, qualche volta si rompe. L’ossidazione inoltre rende meno efficiente la conduzione dell’alimentazione dal trasformatore al motore del treno, per cui capita che in alcuni circuiti molto lunghi i treni si trovino ad arrancare nella parte più lontana dal punto dove è collegato il trasformatore.
  • LEGO non produce più né i binari, né i motori 9V. Avendo convertito la produzione alla serie Power Functions (PF per gli AFOL), i binari sono sì compatibili come incastro, ma non hanno più la copertura metallica. Non ci sono più i motori con le ruote metalliche, quelli PF hanno i fori per gli assi Technic, invece delle ruote. Ci sono addirittura dei progetti per produrre i binari 9V da parte di fornitori indipendenti, o guide di altri AFOL per trasformare i binari PF in 9V.

Tanto vale che si sappia da subito: non esiste una soluzione che sia facile, economica e accettabile dai puristi. Per prima cosa andiamo a vedere tutti gli aspetti del problema.

A tempo perso

Ho provato ad indagare su possibili sostituzioni del motorino elettrico interno al blocco di trazione, ma le cose si sono da subito dimostrate piuttosto difficili. Il motore utilizzato è prodotto dalla Mabuchi Motor, un’azienda giapponese i cui motori elettrici sono in tutti i giocattoli, i piccoli elettrodomestici (spazzolini da denti, minifrullatori, rasoi) e praticamente qualsiasi cosa a movimento elettrico: specchietti retrovisori, tergicristallo, serrature, avvitatori, minitrapani, aspirapolvere robot, ecc.

Il blocco di trazione aperto
Il blocco motore aperto

Mabuchi produce su specifiche del cliente soprattutto motori personalizzati (ordinativo minimo 10.000 pezzi), e verosimilmente il motore dei treni LEGO a 9V appartiene a questa categoria: ha un doppio albero, con un ingranaggio in ottone ad ogni estremo, una configurazione molto particolare. Non è l’unica difficoltà:

  • il motore è perfettamente incastrato nel suo alloggiamento all’interno del blocco di trazione, senza usare colle, viti o altri meccanismi di blocco, quindi le misure sono calibrate per quel motore specifico.
  • la lunghezza dei due alberini è calcolata esattamente per l’alloggiamento del motore. Un millimetro in più e andrebbero a toccare l’alberino del primo ingranaggio di riduzione
  • Il motore ha i contatti di alimentazione nella parte posteriore, posizionati ad angolo di circa 45° rispetto all’asse di simmetria orizzontale, una configurazione molto meno usata in questa categoria di motori elettrici, dove i contatti sono nella parte superiore rispetto al corpo motore, ed orientati verso l’esterno, rispetto all’albero del motore.
L'interno senza il motore
L’interno senza il motore. Notare la disposizione delle molle che prelevano la corrente dalle ruote

Volendo comunque tentare, ho sfogliato con pazienza il catalogo Mabuchi avendo come campione un motore guasto prestatomi da un altro amico AFOL. Ho anche passato un po’ di tempo sfogliando i cataloghi online di Amazon e AliExpress, ad alla fine ho trovato che il modello appartiene alla serie denominata PC/FF/FC-260, ma qui le cose, paradossalmente, si complicano ancora di più: nessuno di quelli trovati ha il doppio albero, ed è già un problema, e pochissime versioni hanno i contatti sul lato posteriore. Per di più esistono differenti versioni per differenti tensioni di lavoro, ognuna con avvolgimenti specifici per l’uso o la tensione di lavoro.

Tre differenti motori
Tre differenti motori: al centro il tipo 260, quello LEGO, a sinistra il tipo 280, 3 mm più lungo di quello LEGO, a destra il tipo 130, più piccolo

Per capirci, lo stesso motore può avere un avvolgimento pensato per lavorare a 12V costanti, mentre un altro lo ha per poter lavorare con una tensione fra 3 e 6V: scambiando i due, quello da 12V non girerà fino a quando non avrà almeno 6-7V in ingresso, e comunque con pochissima coppia (che sarebbe in parole povere la forza di torsione che può esercitare sull’asse), mentre quello da 6V alimentato a 12V girerà come se avesse il turbo, per poi bruciarsi in poche ore di funzionamento. Poi ci sono i motori costruiti per girare in un solo senso, quelli a coppia elevata, quelli ad alta velocità di rotazione… insomma, è impossibile individuare il motore giusto.

Pur ammettendo di rinunciare al doppio albero, di accettare il rischio di prendere un motore con la tensione di lavoro sbagliata e di adattarsi a modificare il collegamento dell’alimentazione usando i contatti in alto, invece che posteriormente, abbiamo ancora due elementi di cui capire il funzionamento.

In un alloggiamento fra il motore e i contatti a molla delle ruote c’è un piccolo disco di circa 5mm di diametro, spesso meno di un mm. Misurandolo con un tester è un buon conduttore, ma ha una caratteristica ben precisa: se scaldato oltre una certa temperatura si trasforma in un cattivo conduttore.

Il termistore
Il termistore PTC

Il nome tecnico di questo componente elettronico è PTC o più precisamente termistore PTC: la sua resistenza al passaggio della corrente dipende dalla temperatura. Più si alza la temperatura, più oppone resistenza al passaggio di corrente, diventando simile ad un interruttore. La sua funzione è doppia: se il motore si surriscalda, il calore aumenta la resistenza del termistore, che gradualmente riduce ed annulla la corrente che passa nel motore, impedendo che si bruci. L’altra funzione è di prevenire il sovraccarico: tutti i motori elettrici hanno un assorbimento di corrente che dipende dal carico applicato. A vuoto, ossia senza alcun carico, con l’albero libero di girare, l’assorbimento è minimo; man mano che si aumenta la forza frenante, ad esempio aggiungendo vagoni al treno, l’assorbimento aumenta fino a raggiungere la cosiddetta corrente di stallo, ossia la corrente assorbita quando il motore è carico al punto che non riesce a girare pur essendo alimentato alla tensione giusta. In questa situazione la corrente assorbita è massima e l’energia assorbita viene tutta convertita in calore: se non si interviene il motore si brucia, ma il termistore al passaggio di una corrente elevata si scalda ed inizia ad aumentare la propria resistenza, diminuendo la corrente che passa per il motore.

Dettaglio dei contatti elettrici
Il cilindretto nero inserito fra i contatti di alimentazione

L’altro componente elettronico, il piccolo cilindretto nero, è un diodo soppressore di transienti, detto anche transzorb, ossia un componente che assorbe i disturbi elettrici generati durante il funzionamento dallo strisciare delle spazzole sul rotore interno. Questi disturbi possono risalire il circuito di alimentazione e passare indietro dal trasformatore alla linea elettrica, causando interferenze ad apparecchiature elettroniche collegate alla stessa rete di distribuzione: per questo è necessario l’uso di un soppressore di transienti.

La sua sigla completa è BZW04P15B, ed è capace di assorbire tutti i disturbi generati dal motore. La sua tensione di intervento nominale è di 15V, come indicato dalla sigla stessa, per cui se si tenta di alimentare un motore 9V con tensioni superiori a 14-15V si brucia prima questo componente, che può sopportare correnti di oltre 12A ma solo per millesimi di secondo (che è caratteristica propria del tipo di disturbi generati da un carico induttivo come appunto un motore elettrico), di seguito si brucia il motore, per il sovraccarico, se non interviene prima il termistore.

Il Power function

Il motore treni PF è apparentemente identico, ma fin dal metodo di apertura si notano le differenze: mentre il 9V occorre “romperlo” (si devono tagliare tutte le linguette nella parte inferiore con un coltello da modellismo, il famigerato X-acto di Lord Business), il PF usa sei viti a testa Torx.

Confronto fra un 9V ed un Power Function (sopra)
In alto un motore Power Function, in basso il 9V

Il motore è lo stesso, anche se ha i contatti di alimentazione disposti sul lato del corpo motore, invece che sul fondo, e sono saldati. Manca il soppressore di transienti, mentre il termistore è saldato su uno dei contatti di alimentazione.

Dettaglio del termistore
Il motore estratto dalla sede, il dischetto giallo è il termistore

Per il resto la configurazione di massima è identica. Il soppressore di transienti non serve perché il treno è alimentato a batteria, quindi i disturbi non possono arrivare alla linea di distribuzione elettrica, non essendoci un collegamento.

Prima soluzione (i puristi passino oltre)

Sostituire il motore del 9V con il motore usato dal PF. Vi sono dei tutorial su Youtube in proposito. Occorre un saldatore a stagno per l’elettronica (a bassa potenza, 40W al massimo) e un po’ di manualità.

Occorre però notare che la soluzione presenta qualche svantaggio:

  • Si rovina un motore PF (prezzo di listino 14€, anche se si può trovare a meno su Bricklink)
  • Serve buona manualità e saper saldare

La soluzione è valida, ma non alla portata di tutti.

Seconda possibilità (meno lavoro, qualche compromesso)

Dopo un po’ di brainstorming con il mio amico Ernesto (creatore del modello Italo di NTV), complice il caldo dell’evento di Albano e una birra ghiacciata, abbiamo pensato ad un sistema meno laborioso, accoppiando un motore 9V guasto con un motore PF.

Dopo aver aperto il blocco motore 9V, si estrae il motore, si sfilano i contatti elettrici a molla che tengono il cilindretto nero del soppressore di transienti e si tolgono i due alberini più piccoli. Lo scopo è di scollegare il motore dal circuito di alimentazione e far sì che le ruote girino libere, senza passare il movimento al motore. Si deve togliere anche il dischetto del termistore, dato che la corrente non passerà più attraverso di esso, e sfilandosi dalla sede potrebbe andare a creare cortocircuito da qualche parte.

Gli elementi da rimuovere
I pezzi da rimuovere

In questo modo le ruote pescheranno alimentazione dai binari come nel funzionamento normale, ma non alimenteranno più il motore. Invece i contatti elettrici nella parte posteriore del blocco motore saranno alimentati, e qui viene l’idea: usando un cavetto di prolunga tipo #60656, venduto singolarmente nel set #8886, che funziona anche da adattatore fra il sistema 9V ed il sistema PF, si collega il motore PF ai contatti elettrici del blocco 9V, che sarà così alimentato dai binari 9V, attraverso il blocco motore 9V.

L'interno con le parti rimosse
L’interno con i pezzi rimossi. Deve essere tolto anche l’altro alberino, ovviamente

Il motore guasto deve rimanere al suo posto per appesantire il blocco di trazione 9V, altrimenti il contatto elettrico fra le ruote ed i binari non sarà affidabile. Si può anche sostituire del tutto il motore con un peso equivalente in metallo, oppure utilizzare qualcosa tipo la pasta modellabile che solidifica all’aria (tipo il DAS), stando ben attenti a non ostacolare la rotazione delle ruote o a non cortocircuitare i contatti elettrici.

Lo svantaggio di questa soluzione è che riduce un po’ il campo di applicazione, in quanto è utilizzabile solo nei modelli che usano due carrelli identici, uno dei quali come blocco motore. Adattarlo ad altri modelli potrebbe essere difficoltoso, o comunque richiedere una parziale revisione del modello.

“…non mi piace nessuna delle due!”

Eh, peggio per te. Oppure…

Sto lavorando ad alcune ipotesi di alimentare i treni con accumulatori al Litio, usando circuiti e soluzioni non LEGO. Appena ho terminato gli esperimenti pubblicherò progetti ed istruzioni e staremo a vedere. Per ora portiamo pazienza.

LEGO® spiegata ad un adulto “normale”

Una versione aggiornata di questo articolo la trovi qui.

Ok, è il caso di fare un minimo di chiarezza. Mettete a letto i bambini, che dobbiamo parlare di cose poco adatte a loro.

Come per il caso del set LEGO da collezionisti venduto a cifre indecenti, negli ultimi giorni gli amici mi hanno tempestato di messaggi per avvertirmi di una occasione imperdibile: un’attrice di film “particolari” vuole una creazione LEGO da esporre nel suo soggiorno. L’autore dell’opera migliore verrà omaggiato di una “prestazione in natura”, come si suol dire…

Il messaggio è stato pubblicato sul noto social network Twitter. Ora non c’è più, a quanto pare rimosso per ragioni legali, secondo quanto afferma la stessa attrice, ma continuo a ricevere messaggi al riguardo, il cui contenuto è facile immaginare.

Lapalissiano che sia una mossa a scopo di marketing, neanche troppo velata, e che la fanciulla in questione abbia ottenuto tanta pubblicità gratis grazie ai numerosi “lanci” giornalistici, basta un giretto su Google con le parole chiave giuste per sincerarsene.

A parte questo, la richiesta della ragazza difficilmente sarà presa in considerazione da qualcuno in grado di realizzare una MOC della categoria attesa, per varie ragioni, a partire da quella più terra-terra, comprensibile anche ad un non-AFOL: una creazione originale in LEGO ha un costo piuttosto alto, sia in termini puramente economici che in termini di impegno del costruttore.

ItLUG Porto San Giorgio 2013

La mia modestissima creazione presentata a Porto San Giorgio, lo sfasciacarrozze (foto sopra), mi è costata circa 250 euro in mattoncini e un paio di settimane di giocolavoro, tra ideazione, bozze, realizzazione e rifinitura dei dettagli. Si tratta di meno di 1000 pezzi (fra tutto), parte dei quali presi dalla mia piccola riserva di mattoncini LEGO usati.

ItLUG Porto San Giorgio 2013

Se ci orientiamo su uno dei castelli del diorama medievale (tipo quello in foto sopra), o il bosco, o il mosaico della Fontana di Trevi, la quantità di pezzi necessaria sale a diverse decine di migliaia, di pari passo con l’impegno per la progettazione e la realizzazione: si parla di mesi di giocolavoro.

Dubito seriamente che un artista del calibro di Nathan Sawaya, o un costruttore certificato come Ryan McNaught prendano anche solo in considerazione la richiesta, il compenso offerto è semplicemente inadeguato.

Fin qui le considerazioni asettiche e prosaiche riferite al valore “commerciale”.

Ma ora basta con le sciocchezze, andiamo al sodo: la principale ragione per cui la richiesta è inaccettabile risiede proprio nel fatto che venga chiesto a qualcun altro di costruire una cosa qualsiasi.

Tralasciando il fatto che senza dare indicazioni sulle preferenze, i gusti, gli interessi (anche semplicemente sul tipo di arredamento del soggiorno) sarà difficile creare qualcosa di soddisfacente, il punto è che qualcosa di già costruito è proprio quanto di più lontano possa esistere dalla ragione della passione che qualsiasi AFOL ha per i mattoncini: il piacere è nel creare, nel vedere prendere forma la propria idea, nello sviluppare metodi e tecniche di costruzione per ottenere forme ed effetti sorprendenti. Per un AFOL, smontare un dettaglio per rifarlo in modo differente cinque, dieci volte, fino ad ottenere il risultato cercato, è il minimo. E potete star certi che in quel momento la soddisfazione è totale.

Anche quando semplicemente si costruisca un set seguendo le istruzioni, l’appagamento ed il piacere nel maneggiare questi piccoli pezzetti di plastica colorata non può che essere ineguagliabile.

Quindi, per rispondere ai tanti che mi invitavano a cimentarmi, la risposta è che non mi interessa l’offerta, ma senz’altro posso consigliare alla fanciulla di recarsi nel più vicino negozio di giocattoli e fare il pieno di scatole di LEGO, per poi gustarsi una serata con le mani occupate a maneggiare mattoncini colorati, il cervello sgombro e l’anima in pace.

Identificare un set LEGO® dai pezzi

Può capitare di trovarsi per le mani un sacchetto di mattoncini, magari ricevuto da qualcuno che non sa cosa farsene.

Senza scatola e senza istruzioni è apparentemente inutile, se non si è avvezzi al manipolare mattoncini come un AFOL veterano.

Ecco una breve collezione di strategie per risalire al set ed alle istruzioni di montaggio.

Individuare il tema

Ogni set, a parte limitate eccezioni, appartiene ad un “tema”, ossia un raggruppamento di set con la stessa ambientazione o con gli stessi personaggi. In alcuni casi esistono temi “principali” suddivisi in temi più specifici. Alcuni esempi:

Individuare il tema è importante per restringere il campo di ricerca, a volte è sufficiente per poi trovare il set semplicemente sfogliando l’elenco dei set di quel tema.

Mi piace vincere facile: gli adesivi

In alcuni set, specialmente quelli della serie City, vi sono parti che hanno un adesivo applicato sopra, quasi sempre a mo’ di targa del veicolo. Ecco alcuni esempi (foto da Brickset)

Set 4208, il numero è usato come targa e come matricola del mezzo
Set 4208, il numero è usato come targa e come matricola del mezzo
Qui è riportato come numero di identificazione del modello di macchina operatrice
Qui è riportato come numero di identificazione del modello di macchina operatrice
Qui è la targa e il numero di matricola del mezzo
Qui è la targa e il numero di matricola del mezzo

Romabrick at Toy Museum in Zagarolo - 2013

In questa foto del nostro Domenico, scattata durante Zagarolo 2013, si vede il numero sul fianco dell’astronave, che è proprio il numero del set, il #918.

A proposito, a partire dal 2013 LEGO® userà cinque cifre per identificare i nuovi set.

Strani pezzi

Se non abbiamo a disposizione parti con adesivi, dobbiamo ripiegare su pezzi dalla forma insolita, o con una combinazione di forma/colore insolita.

Mentre la prima strategia è certamente più intuitiva, nel secondo caso le cose sono abbastanza complicate e qualche volta solo un AFOL esperto può identificare un pezzo che in quel particolare colore è raro.

Un esempio è dato dalla parte #3176, un pezzo abbastanza comune, prodotto a partire dal 1966 e presente in oltre 400 set differenti: in colore bianco è presente solo in una manciata di set, mentre in verde è presente in un solo set. Considerando che bianco e verde sono due colori comuni, diventa evidente che solo un esperto può capire di trovarsi di fronte ad un pezzo chiave per identificare un set.

Tornando ai pezzi dalla forma insolita, possiamo prendere ad esempio la rampa di scalini, parte #30134, presente in soli 59 set di tutta la produzione LEGO fino ad oggi. Se sono in colore nero o marrone, i set possibili sono una ventina per ognuno dei due colori, mentre in grigio scuro o rosso scuro appaiono in soli tre set.

Per sapere in quali set appare un pezzo, occorre prima identificare il “design ID” del pezzo. Di solito è stampato in caratteri microscopici nella parte interna del pezzo o nella parte inferiore, insomma in un punto che di solito non è esposto a pezzo montato. Occorre una buona lampada ed una lente d’ingrandimento per trovarlo, ad occhio nudo è possibile solo per chi è miope.

Il design ID è un numero generalmente di 4-5 cifre (anche se esistono pezzi molto vecchi con identificativi di due e tre cifre, e inizia ad apparire qualche pezzo con identificativi di sei cifre) che indica in modo univoco la forma del pezzo. Per esempio il classico mattoncino 2×4 ha design ID 3001. Naturalmente, essendo questo mattoncino uno dei pezzi più comuni (appare nelle sue varianti in oltre 2.200 set), difficilmente riusciremo ad identificare un set usando questo tipo di pezzo.

Una volta identificato il design ID, usando le funzioni di ricerca di Bricklink e di Brickset possiamo vedere in quali set è usato ed in quali colori.

Se non si riesce ad identificare il design ID, sia Bricklink che Brickset permettono di ricercare pezzi per descrizione (in inglese) o per categoria (sempre in inglese). In questo caso si deve però conoscere la terminologia usata dagli appassionati, e non è proprio immediato: tile, plate, slope, roof, ladder, bow, wedge… insomma, se riusciamo a trovare il design ID è meglio.

Sotto ecco un esempio di ricerca proprio della rampa di scale.

Ricerca per design ID della rampa di scale #30134
Ricerca per design ID della rampa di scale #30134

Una volta identificato il pezzo, si punta quello del colore in nostro possesso e si vede l’elenco dei set in cui appare.

In quali set appare in grigio scuro
In quali set appare in grigio scuro

Nell’esempio mostrato, la rampa di scale in grigio scuro si trova in due soli set (gli altri due sono scatole che raggruppano più set in una sola confezione), uno con la stazione ferroviaria, ed uno con il porticciolo. A questo punto se abbiamo anche i binari, o se abbiamo due sedie blu (#4079), i pezzi vengono dal set della stazione ferroviaria (set #7937).

Minifig e animali

Questa è un po’ più difficile, ma può tornare utile quando nel mucchio di pezzi vi sono appunto delle minifig (o parti di esse) o degli animali.

Nel caso delle minifig, si deve puntare a dettagli come il tipo di “vestiti”, il cappello, accessori come pale o martelli. A parte le situazioni ovvie in cui le minifig hanno indosso delle uniformi (polizia, vigili del fuoco), alcuni dettagli possono essere rivelatori. Per esempio, anche se la minifig ha una uniforme da poliziotto (riconoscibile dal distintivo), c’è una certa differenza se ha una giacca o un giubbetto chiuso con la zip.

Due differenti busti per minifig di poliziotto (immagini prese da Bricklink)
Due differenti busti per minifig di poliziotto (immagini prese da Bricklink)

La differenza fra i due busti nella foto sopra è apparentemente minima, ma quello a sinistra appare in 16 set, mentre l’altra appare in 32 set differenti. E’ molto importante anche la colorazione di altri dettagli come le mani: la differenza fra una minifig con le mani gialle e una con le mani grigie non è un semplice dettaglio.

Anche vestiti “normali” e altri tipi di accessori possono essere risolutivi per identificare un set. Un busto femminile con una giacca particolare o un foulard rosa possono restringere il campo a pochissimi set, tredici per la precisione, tutti molto particolari e facilmente individuabili.

Alcuni animali sono estremamente utili per identificare un set. Per esempio la gallina appare solo in tre set.

I pezzi “decorati”

Oltre agli adesivi, esistono dei pezzi con parole, simboli o disegni stampati sopra. Sono normali pezzi, piuttosto comuni, che la stampa rende particolari.

Alcuni di questi pezzi sono presenti in un solo set, o in un piccolo gruppo, per cui sono candidati ideali per identificare un set. Alcuni esempi:

Si può essere meno fortunati, trovando ad esempio una mattonella 1×1 con indicatore a lancetta, che è presente in 68 set, quindi poco utile ad identificare un set.

L’ultima risorsa

Se proprio non riusciamo ad identificare il set in nessun modo, possiamo ricorrere all’amico AFOL, che sicuramente avremo. Un AFOL degno di questo nome sa identificare abbastanza rapidamente un set dai pezzi, anche in casi disperati.

Solo, non abusate della sua pazienza.

Verificare di avere tutti i pezzi

Una volta identificato il set passiamo a controllare se abbiamo tutti i pezzi necessari usando la funzione di inventario di Bricklink o di Brickset.

L'inventario di Brikset
L’inventario di Brikset
l'inventario di Bricklink
l’inventario di Bricklink

Sopra i due inventari del set della stazione ferroviaria.

In questo modo ci assicureremo di avere tutti i pezzi. In caso manchino, possiamo pensare di usare dei sostituti o, se proprio si vuole esagerare, acquistare i pezzi mancanti tramite Bricklink o il Pick a Brick del negozio ufficiale LEGO.

Naturalmente, questo vale solo se il numero ed il tipo di pezzi mancanti è ragionevole: se abbiamo solo la metà dei pezzi necessari forse la spesa non vale l’impresa. Sta a noi valutare pro e contro: se vogliamo completare un nostro vecchio set ritrovato in soffitta, potrebbe essere comunque un ottimo motivo per spendere qualche decina di euro.

Le istruzioni

Una volta controllato l’inventario dei pezzi, andiamo a prendere le istruzioni di costruzione.

E’ possibile acquistare i libretti originali, sempre da Bricklink, con una spesa spesso di pochi euro, se il set non è raro o “vintage”.

Per finire

In chiusura, l’invito è di non rifiutare mai un sacchetto o una scatola di mattoncini, non si sa mai cosa potrebbe venirne fuori.

Anche se non è un set completo, potrebbe comunque essere uno stimolo a costruire secondo la nostra fantasia ed il nostro gusto. Se poi si tratta di un set “importante” ed è anche completo, perché rinunciarvi?